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Alla luce di Roma

alla-luce-di-roma-2016_4  I Fiamminghi e Roma. Un rapporto antico, che risale al XV secolo, quando l’Urbe inizia a risorgere dopo la cattività avignonese e diventa cenacolo di studi umanistici. Un variegato laboratorio nel quale matura la Rinascenza, facendo della città un polo culturale a livello europeo che attrae molti artisti d’Oltralpe, i fiamminghi fra i primi. Questi porteranno la loro esperienza, soprattutto in campo musicale, la scuola franco-fiamminga che, passando per la Cappella Sistina (Josquin Dezprez, Jacob Arcadelt), lascia una profonda traccia nella polifonia di Palestrina. Si crea così una reciprocità che toccherà il suo culmine nei secoli XVII e XVIII, quando il Barocco trionfante, che ha in Roma la sua massima espressione, verrà esportato al Nord, addolcendone i rigori espressivi. Ed è di questo che si parla all’Istituto Centrale per la Grafica, “Alla luce di Roma”, una nutrita serie di disegni e stampe provenienti dalle collezioni pubbliche e private delle maggiori istituzioni culturali del Belgio.

  Oltre 100 opere che documentano un periodo fertile, dominato da figure di riferimento come il Bernini, dove il discorso della reciprocità appare subito evidente. Così il “Catafalco per le esequie di Gregorio XV”, di Giacomo Lippi di Budrio e Oliviero Gatti, lavoro di accurata fattura, lo ritroviamo come modello per il “Progetto per l’altare e la decorazione della chiesa dei Gesuiti di Utrecht”, di Hendrik Frans Verbrugghen. E’ solo un esempio fra tanti, dove il trionfalismo del gusto barocco si sposa alla simmetria, e lo si può vedere nelle opere esposte, che rappresentano sia aspetti del sacro che del profano. E sono scorci di chiese con particolari architettonici e di arredo interno, altari (vedi “Progetto per un altare del SS.Sacramento”, di Gaspar Melchior Moens), pulpiti, confessionali o la chiesa stessa quale contenitore di un evento storico (notevoli il “Catafalco di Alberto d’Austria governatore generale dei Paesi Bassi”, di Jaques Francort, e quello per Filippo IV nella città di Anversa, di Peter De Jode. La celebrazione della morte come spettacolo in cui si sacralizza il Potere, momento rituale che in epoca barocca raggiunge la sua apoteosi. Ma da citare è anche “Catafalco commemorativo della guerra contro i turchi”, puramente simbolico, di Jan Baptist Jongelinck). E c’è anche il nostro Bernini con uno “Scheletro che sorregge una piramide”.alla-luce-di-roma-2016_3

  L’aspetto laico è dato dalle feste, le cerimonie, le parate e qui si avverte il gusto dell’effimero barocco, quell’esserci quasi fisicamente anche se in modo temporaneo, limitato nello spazio e nel tempo. Ed è l’esaltazione del Potere, come “Tribuna per l’ingresso trionfale dell’imperatore Carlo VI a Bruxelles”, di Pieter I e Pieter II Van Baurscheit, “Carro della Casa Imperiale d’Austria”, di Guillaume Heereyns, “Progetto per il carro La Montagna delle Vergini”, di Hendrik Frans Verbrugghen. Ma c’è anche l’aspetto meno ufficiale, squisitamente popolare, come dimostra “Teatro girevole ad Anversa”, di Anonimo, dai toni ludici, una vera curiosità anche grafica per quella sequela di figure distribuite su sei piani. E’ uno dei pezzi più interessanti di una mostra il cui cuore pulsante è Roma, la Roma della “maraviglia” barocca  che permeò di sé la cultura europea del ‘600-‘700. E nasce il gusto dell’apparato, dell’aspetto scenografico, nel particolare come nell’insieme: della vita intesa come spettacolo.

“Alla luce di Roma. I disegni scenografici di scultori fiamminghi e il barocco romano”, Istituto Centrale per la Grafica (via della Stamperia 6) fino al 26 febbraio 2017. Da lunedì a sabato h.10-19, ingresso libero.

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