Alphonse Mucha, artista della Belle Epoque
Alphonse Mucha, artista della Belle Epoque
di Antonio Mazza
“L’arte svolge un ruolo fondamentale nella crescita spirituale dell’uomo” e poi, in maniera più assertiva, “preferisco essere qualcuno che crea immagini per le persone piuttosto che qualcuno che fa arte fine a se stessa”. Dichiarazione nonché introduzione al suo programma di lavoro di Alphonse Mucha, artista boemo che interpretò e visse la felice stagione parigina della Belle Epoque. Un tempo di spensierato vitalismo di una società che, uscita dal trauma della Comune di Parigi e della crisi economica della seconda metà del secolo XIX, ora poteva godere di piena stabilità politica ed economica. E sono i fasti della “Ville Lumière”, della città modernizzata dalla rivoluzione industriale che stava riplasmando il panorama europeo, la città che trova la sua consacrazione nell’Esposizione Universale del 1900. Mucha è presente in questo processo, come ben risulta da “Alphonse Mucha. Un trionfo di bellezza e seduzione”, a Palazzo Bonaparte, mostra prodotta e organizzata da Arthemisia con la Mucha Foundation e i Musei Reali di Torino, in partnership con Generali Valore Cultura e la Fondazione Terzo Pilastro Internazionale, a cura di Elisabeth Brooke e Annamaria Bava, con la direzione scientifica di Francesca Villanti.
“Signor Mucha, lei mi ha reso immortale!”, così la grande Sarah Bernhardt commentando “Gismonda” (1894), litografia a colori a lei dedicata in occasione di una sua recita in un teatro parigino. Un poster, come lo definiremmo oggi, i cui morbidi colori pastello, in contrasto con quelli accesi allora in voga (vedi Toulouse-Lautrec), esaltano la figura femminile, dandole un tocco esotico (la tunica che l’avvolge). Ed anche l’impostazione grafica con rimandi alla stilizzazione dell’arte bizantina (il mondo slavo dal quale Mucha proviene) che implica allusioni simboliche accentuate dal taglio di ampio respiro di ogni singola opera. E’ quell’eleganza figurativa che la componente floreale, tipica dell’Art Nouveau, impreziosisce fino quasi a idealizzare il soggetto rappresentato, come appunto e con forza, avviene per Mucha. Così la serie delle Stagioni, le Arti, le Pietre Preziose, un fantasmagorico viaggio nella bellezza femminile, dove l’armonia delle forme e la dolcezza d’insieme creano un incanto tutto particolare.
Qualità già presenti per la Bernhardt (“La dame aux camelias”, 1895, “La samaritane”, 1898, “Médée”, 1898) si evidenziano con maggior rilievo in “Estate” (1896), “Pittura” (1898), “Ametista” (1900), “Smeraldo” (1900), per fare qualche esempio. Al centro la donna, seduttiva ma non nello stereotipo della “femme fatale”, come era nei canoni dell’epoca, bensì di una levità che deriva dall’arte classica ammirata nei viaggi in Italia. E, più avanti , nella quarta sezione della mostra, ne abbiamo la conferma con l’esposizione della “Venere” di Botticelli, la grazia rinascimentale alle radici dell’estetica di Mucha (ed anche altri come Lorenzo di Credi o il Siciolante e indietro nel tempo, fino alle Veneri di matrice ellenistica). Il tocco lieve è la sua peculiarità, come ben espresso, anche nel titolo, da “The Feather” (1899), cromolitografia, tocco che ritroviamo nella pubblicità, dove il segno si fa più vivo e la composizione accattivante. Bisogna rassicurare e sedurre il consumatore, legge di mercato, e Mucha lo fa a colpi di bellezza, qualsiasi sia il tema trattato.
“Bièreuse a la Meuse” (1890), “Job” (1890), “Biscuit Champagne Lefèvre-Utile” (1895), in due versioni, “Lance Parfum “Rodo” (1896), “Chocolat idèal” (1897), “Weverley Cycles” (1897), Menu “Moet § Chandon” (1899). Non solo le litografie-manifesto ma anche la produzione, realizzata con un raffinato design, di oggetti di uso quotidiano, posate, scatole per biscotti, flaconi di profumo, eccetera (ma lavora anche altri materiali, come la stupenda “Testa di ragazza”, 1900, bronzo, argento e doratura parziale). Ormai Mucha è famoso in patria e all’estero e l’Esposizione Universale lo celebra come un artista geniale che nel frattempo aderisce alla massoneria, accolto nella loggia parigina del Grande Oriente di Francia (qui esposto un “Calice massonico” degli anni ’20), coltiva tendenze mistico-tesofiche e il frutto della sua ricerca spirituale è “Le Pater” (1899), opera visionaria che interpreta la preghiera del Padre Nostro in sette serie di tre tavole decorative che indicano la via verso la Luce, lanciando così un messaggio alle generazioni a venire.
“Le Pater” è considerato da Mucha la sua opera migliore insieme a “Epopea Slava”, monumentale ciclo pittorico che narra dell’identità nazionale dal III al XX secolo. E lui, che aveva già aveva partecipato alla decorazione del municipio di Praga con pannelli murali e un dipinto sul soffitto dal titolo emblematico, “Concordia slava”, s’impegna in quest’opera colossale, 14 anni di lavoro (1912-26), che consegnerà nel 1928, in occasione del decimo anniversario dell’indipendenza seguita al crollo dell’impero asburgico. Nel contempo realizza opere che esaltano il popolo boemo, le sue tradizioni, usi e costumi, folklore locale, ed ecco una litografia a colori, “Coro dell’associazione degli insegnati della Moravia (1911), un acquerello, inchiostro e guazza su carta, “Studio per il poster del VI Festival del Sokol” (1911) e tre splendidi oli su tela: l’idilliaco “Song of Bohemia” (1918), che sembra quasi di avvertire sullo sfondo le struggenti note de “La Moldava”, di Smetana, altro grande boemo, i costumi locali in “Donna con drappo rosso” (1920) e il delizioso “Coppia di giovani da Rusodio” (1920-21).
Baricentro di tutta la produzione artistica di Mucha è pur sempre la figura femminile, la donna che, nel clima parigino della Belle Epoque ed europeo in generale, riveste varie personalità. Qui la percepiamo sensuale ed altera, quasi mitologica, nella famosa “Semiramide” (1905), di Cesare Saccaggi, e come una donna in sintonia con il suo tempo in “La contessa Gabrielle de Rasty”, (1879), con il tratto elegante di Giovanni Boldini. Appare ormai superato o quantomeno in crisi il clichè della donna subordinata al maschio e infatti le prime rivendicazioni femministe datano fine ‘800. Anche Mucha ha dato un valido contributo, con il suo design moderno che esalta la figura muliebre, lui grande protagonista dell’Art Nouveau, quel bellissimo intreccio di fiori, luci e speranza in un mondo nuovo, un sogno che si spegnerà nel fango delle trincee.
“Biscuits Champagne Lefèvre-Utile” (1895), litografia. Decisamente un manifesto-simbolo della Belle Epoque.
“Alphonse Mucha. Un trionfo di bellezza e seduzione” a palazzo Bonaparte fino all’8 marzo 2026. Da lunedì a giovedì h.9-19,30, da venerdì a domenica h.9-21. Biglietto intero euro 18, ridotto 17. Per informazioni 068715111 e www.mostrepalazzobonaparte.it e www.arthemisia.it











Chiara l esposizione.che mostra l artista slavo nel suo nuovo milieu francese..creatore dei più belli affiches per la Bernardt e per varie pubblicità..Antonio illustra poi gli importanti lavori di Mucha per il.municipio di Praga ..e ovviamente la sua posizione apicale nel grande movimento dell Art Nouveau e la predilezione per il tema della bellezza femminile ottimo ul.lavoro di Mazza..come.al solito