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Arion Romanus

 DSCF2833 RID    Giacomo Carissimi, il padre dell’oratorio Louboutin Store, genere che si diffuse nell’Europa del ‘600, principalmente in Germania e Italia. Ma mentre oltralpe aveva un’impostazione squisitamente drammatica (le composizioni di Heinrich Schuetz e, di seguito, fino a Bach), in Italia il senso del tragico era più contenuto, pur se di ampio respiro. Carissimi ne è l’esponente massimo, con le sue cantate Louis Vuitton bags uk, messe, mottetti e, naturalmente, oratori, dove tutto appare soffuso di una grazia particolare. Alla fluidità della scrittura musicale, sia in chiave monodica, sia polifonica, fa riscontro una fertile vena creativa, che fascina l’ascoltatore moderno come un tempo quello dvd box set seicentesco a Sant’Apollinare o al Crocefisso (o nel “salotto colto” di Cristina di Svezia).

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Fra le sue opere, oltre ai capolavori come “Jephte”, quelle che forse più lo caratterizzano sono i ventotto mottetti della raccolta “Arion Romanus”, d’impianto plurisezionale, che l’Ensemble Seicentonovecento ha inciso in 3 cd di prossima pubblicazione con la Brilliant Classics (con la stessa etichetta sono apparsi gli Oratori in 9 cd). E un delizioso assaggio Flavio Colusso ed i suoi l’hanno proposto all’Institutum Romanum Finlandiae, al Gianicolo.

  Undici fra i brani più significativi per festeggiare trent’anni insieme al compositore di Marino, cioè quanti ne hanno dedicati alla riscoperta e riproposizione della sua musica. E, infatti, già il mottetto d’apertura, “Omnes gentes”, racchiude in sé l’essenza della raccolta, con l’alternanza di solo e tutti, una fascinosa geometria vocale che si ripete nel successivo “Egredimini”, col suo arioso intrecciarsi e rincorrersi delle voci sul filo di un’agile linea strumentale. E’ la grazia di Carissimi, quel tocco fra sostenuto e meditativo che attinge dal passato (Palestrina) per modellarsi in forme nuove, adattando l’espressione melodica allo spirito dei tempi.

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E lo vediamo negli altri mottetti, da “O dulcissime Jesu”, squisitamente contemplativo, a “O Beata Virgo”, splendido nel suo tessuto di chiaroscuri vocali, e da “Panem caelestem”, tutto come ondulato, a “Laudemus Virum”, di una estrema ariosità. E, ancora, il gioco movimento-pausa delle voci in “Hymnum Jucunditatis”, una colorita alternanza che si ripete nel soave “Benedicite”.

   Dolce e seducente la spiritualità che promana dai mottetti di “Arion Romanus” il cui pregio, per l’epoca, è di evitare quel virtuosismo barocco che, pur di grande fascino (pensiamo a Benevoli), rischiava di fare troppo “teatro” (d’altronde è proprio la tipicità del Barocco: la macchina scenica). E il senso del messaggio carissimiano è stato magnificamente interpretato dall’Ensemble Seicentonovecento: Elena Cecchi Fedi, soprano, Margherita Chiminelli, soprano, Arianna Miceli, soprano, Antonio Giovannini, alto, Andrea Coen, organo, Flavio Colusso, direttore al cembalo.

foto di Cristiano Rando

foto di Cristiano Rando

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