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Circe nel Circeo

CIRCE_ARCHEOLOGIA_DI_UN_MITO_locandinaIl mito di Circe, la maga più antica della letteratura, è estremamente affascinante perché incarna la malia della seduzione e allo stesso tempo la malvagità della strega. Racconta Omero nel libro X dell’Odissea che Ulisse approdò un giorno sull’isola Eèa “dove Circe, diva terribile, dal crespo crine e dal dolce canto, avea soggiorno”. Era costei una semidea che trasformava gli stranieri che arrivavano nel suo palazzo in animali. Cosa che puntualmente accadde ai compagni di Ulisse che vennero tramutati in maiali. La stessa cosa sarebbe accaduta all’eroe omerico, se egli non avesse ricevuto da Ermes l’erba moly che lo avrebbe reso immune dalla pozione magica di Circe. Ma non dalla sua seduzione amorosa, anche se poi, trascorso un anno, egli sentì impellente il desiderio di tornare in patria e riprese il suo viaggio avventuroso.

 Anche altri autori parlano della leggendaria maga, che avrebbe pure trasformato la ninfa Scilla in un orribile mostro marino per allontanare da lei Glauco, del quale si era innamorata (Ovidio, Metamorfosi). Sempre in tema di trasformazioni, tra i ricordi della Roma più arcaica c’è quello di Pico, un re del Lazio capostipite di Latino. Pico aveva sposato la ninfa Canente, alla quale era fedelissimo, tanto da rifiutare le profferte amorose di Circe, che lo aveva visto durante una caccia e se ne era improvvisamente invaghita. Non potendolo avere come amante, lei lo trasformò con la sua verga magica in picchio.

circeo

 Nel Lazio, fino all’età imperiale, è noto il culto di Circe nel Circeo, dove fonti antiche (tra cui Virgilio, Eneide VII, 10) ne localizzavano la grotta. Del resto il promontorio del Circeo, visto da Gaeta o da Sperlonga, può essere scambiato per un’isola. È probabile che il suo culto fosse in relazione con quello del padre Elio, dio del Sole. È grazie al sole che crescono le piante, e forse per questo lei, sua figlia, è Potnia fyton (Signora della vegetazione) e conosce le erbe che permettono di curare o di compiere trasformazioni. Il suo sapere la rende così potente da acquistare anche il dominio sul regno animale, diventando Potnia theron (Signora degli animali), un termine che Omero nell’Iliade attribuisce alla selvaggia Artemide, corrispondente all’italica Diana, dea della caccia, ma anche della magia, tanto che nel tempo le sue seguaci sono state considerate streghe (pensiamo per esempio alle janare che si radunavavo presso il noce di Benevento). Proprio come “Signora degli animali” viene raffigurata la mitica incantatrice in un dipinto di Dosso Dossi, intitolato Circe con i suoi amanti, conservato nella National Gallery of Art di Washington.

Testa di Circe, o di Venere 2016-04-30 alle 17.59.33 Una conferenza tenuta il 28 aprile 2016 da Diego Ronchi nel Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, intitolata “Circe. Archeologia di un mito”, ha fatto il punto sui ritrovamenti archeologici nel Circeo e in particolare sulle ricerche che lo studioso porta avanti da diversi anni e che saranno oggetto di una prossima pubblicazione. Tradizionalmente viene attribuito a Circe il santuario presso il picco occidentale del promontorio, in un’area sottoposta negli ultimi decenni a un forte degrado ambientale e dove è stata rinvenuta nel 1930 una grande testa femminile in marmo (I secolo a.C.), identificata con Circe per la presenza di fori che avrebbero potuto alloggiare i perni di una corona a sette raggi (per via della discendenza di Circe dal Sole). Questa testa, conservata nel Museo Nazionale Romano, potrebbe essere più probabilmente riferita a Venere, raffigurata spesso con un diadema in testa (al quale i fori per la loro posizione potevano benissimo fare da sostegno), sia per il confronto con altre teste della dea, sia per la verosimile presenza di un Afrodision nel Circeo, dove il mirto, pianta sacra a Venere, è decisamente di casa. Il c.d. Tempio di Circe sarebbe, quindi, quello di Venere. Come ha detto Ronchi, “la presenza in epoca tardo–repubblicana di un culto dedicato a Venere al Circeo è molto probabile, se non certa, considerando che in un’iscrizione il Promontorio viene definito proprio Promonturium Veneris”.

Ulisse minaccia CirceMa, stando così le cose, viene spontaneo chiedersi dove potrebbe essere localizzato il santuario di Circe, di cui parla espressamente il geografo Strabone, che nel Circeo attesta il suo culto e quello di Atena/Minerva (dea venerata forse in un santuario presso il Colle Monticchio, nei pressi di S. Felice Circeo). Ronchi, dopo un importante intervento di documentazione planivolumetrica da lui diretto, identifica nella Villa dei Quattro Venti il probabile luogo di culto di Circe che, come altri santuari ellenistici, era costruito a terrazze. Questo sito archeologico si trova a ridosso del centro storico di San Felice Circeo, sulla propaggine sud-orientale del promontorio. Le indagini lì effettuate hanno permesso di ricostruire l’aspetto dell’area in 3D e di ottenere interessanti risultati: sono state scoperte, infatti, tracce di molte strutture sotto i resti del complesso, chiamato anche Villa di Marco Emilio Lepido perché si riteneva che in questa maestosa residenza d’epoca sillana il triumviro avesse trascorso gli ultimi anni di vita fino alla morte (13 a.C.). Tra le strutture rinvenute nel corso della ricerca, vi sono resti che fanno pensare a un luogo di culto, precedente alla fase dell’edificio ancora oggi visibile. La presenza del tempio, in particolare, sarebbe stata avvalorata da un’iscrizione votiva venuta alla luce durante i rilievi.

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Indubbiamente si tratta di un ritrovamento che, se avvalorato da ulteriori indagini, potrebbe far riscrivere la cartografia archeologica di un territorio che ha visto una continuità di vita dall’età preistorica ai giorni nostri. San Felice Circeo, in particolare, si è sovrapposta all’antica città di Circeii, fondata secondo una leggenda dai Romani sotto il regno di Tarquinio il Superbo. Più probabilmente la colonizzazione romana sarebbe avvenuta nel IV secolo a.C. (393 a.C. secondo lo storico greco Diodoro). Prima ancora la città è legata tradizionalmente alla storia di Coriolano, e quindi dei Volsci, anche se nessuna traccia del loro insediamento è visibile, dal momento che le mura della città e dell’acropoli sono da attribuire ai Romani. Nell’ambito della storia di età repubblicana si ricorda, inoltre, un’altra “colonizzazione” da parte del padre di Giulio Cesare, alla quale sembra far riferimento un’iscrizione rinvenuta a Roma nel Foro di Augusto. Proprio a questo periodo potrebbe risalire l’introduzione del culto di Venere, tipico della gens Iulia, mentre quello di Circe risalirebbe al IV secolo a.C.

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