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Da Crivelli a Rubens

04  Decisamente particolare la storia artistica delle Marche la cui posizione geografica ha favorito influssi diversi, permettendo così una diversificazione soprattutto nel linguaggio pittorico. Dal nord l’acceso colorismo della scuola veneta e i turgori di quella emiliana, da ovest gli splendori toscani, da sud la carnalità romana e infine, ad est, sulla parte adriatica, echi bizantineggianti. Se già nel medioevo la pittura marchigiana aveva un certo rilievo ma a livello regionale (la Scuola di Rimini d’influsso giottesco, i Salimbeni) è nella Rinascenza che acquista una valenza nazionale (Carlo e Vittore Crivelli, Raffaello, Lorenzo Lotto). Una varietà e ricchezza pittorica che costella tutto il territorio marchigiano in parte ora ferito dal terremoto che ha provocato danni spesso ingenti al patrimonio artistico. E ne reca testimonianza la bella mostra organizzata dal Pio Sodalizio dei Piceni nel complesso monumentale di San Salvatore in Lauro, “Dai Crivelli a Rubens. Tesori d’Arte da Fermo e dal Suo Territorio”.

  Nella Marca Fermana hanno operato artisti insigni e qui Rubens, nella chiesa di San Filippo Neri di Fermo, ha lasciato la sua ultima opera realizzata in Italia, una “Adorazione dei pastori” che viene messa a confronto con altre due opere dallo stesso tema, rispettivamente di Pietro da Cortona e di Giovan Battista Gaulli detto il Baciccio. Una terna pittorica di eccezionale fattura accoglie il visitatore ed è interessante leggere e confrontare le opere, trovandovi in ognuna dei precisi riferimenti stilistici (il ‘600 è un secolo d’oro per la pittura italiana). In Rubens anzitutto si nota un richiamo alle grandi tavole da lui dipinte per l’abside della Chiesa Nuova, con quello svolìo di angeli sul gruppo della Sacra Famiglia. La dinamica rimanda al Tintoretto (che Rubens aveva studiato a Venezia), i suoi personaggi come bloccati in fermo immagine, di moto cristallizzato, e l’insieme delle figure nella loro gestualità evoca il Correggio. Ovviamente Rubens non ignora la lezione del luminismo caravaggesco ma resta estraneo al suo naturalismo, qui siamo in clima di visione idealizzata, quale compare anche nell’Adorazione di Pietro da Cortona, che ripropone la struttura rubensiana con al centro “il Bambino dipinto come un grumo di luce”(così Anna Lo Bianco, curatrice, nel suo catalogo). Il tutto dà l’idea di una grande dolcezza, un che di sognante (idealizzato, appunto), al cui opposto è l’Adorazione del Baciccio, un efflorescente amalgama di figure, luci, colori. E’ davvero il trionfo del Barocco al suo culmine (l’opera data 1687), le cui suggestioni teatrali il Gaulli aveva già ampiamente sviluppato in quell’immenso capolavoro che è la volta affrescata della chiesa del Gesù.

  Un salto di epoche e siamo nella fase di passaggio dal XV al XVI secolo, la seconda parte della mostra a cura di Claudio Maggini e Stefano Papetti. Ed ecco Carlo e Vittore Crivelli, figli di Jacopo, una dinastia di pittori veneziani alla stregua dei Bellini e Vivarini, che qui documentano un importante momento di transizione della pittura, dal tardo gotico alla Rinascenza. Carlo nel suo polittico con la Madonna e i Santi Giovanni Battista, Lorenzo, Silvestro e Francesco, in alto Cristo in pietà e l’Annunciazione e nella predella l’Orazione nell’Orto, già mostra di svincolarsi dai moduli quattrocenteschi (aveva lavorato accanto al Mantegna). Di contro Vittore, nello splendido polittico con al centro l’Incoronazione della Vergine, ai lati San Bonaventura di Bagnoregio, San Giovanni Battista, San Francesco e San Lorenzo di Tolosa, in alto Cristo morto fra la Vergine e San Giovanni Evangelista e nella predella momenti della vita di Cristo, appare ancora legato ai modi del gotico internazionale. Un’opera di grande bellezza che, pur avendo subito seri danni, è stata restaurata in maniera superba: proviene da Sant’Elpidio al Mare mentre quella del fratello da Massa Fermana. E qui era collocata anche un’altra bellissima opera di Vittore, la “Madonna del Monte”, nota anche come Madonna della Cintola, con la figura della Vergine in alto fra gli angeli musicanti e, in basso, gli oranti e i membri di una confraternita di opere pie. Il tutto adombra l’immagine della Mater Misericordiae, una costante della pittura pre e post rinascimentale.

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  Di Vittore è anche una malinconica “Crocifissione”, da Sant’Elpidio a Mare, i cui tratti e la gestualità delle figure denotano una trasformazione di linguaggio, proiettato oltre la staticità del gotico (è l’unica opera su tela presente in mostra). A differenza di Pietro Alemanno, allievo di Carlo Crivelli, che ne “La Maddalena”, dalla Pinacoteca di Ascoli, ne riprende i moduli, con molta eleganza. Ma subito torniamo ai fervori del nuovo corso marchigiano (“Rinascimento Adriatico”, lo hanno definito Pietro Zampetti e Federico Zeri) con il bel polittico di Ottaviano Dolci dove figurano la Madonna in trono con Bambino, Sant’Antonio da Padova, San Pietro, San Francesco, San Sebastiano. Nella parte superiore compaiono La Pietà, San Lorenzo, San Biagio, San Bernardino e Santa Caterina, nella guglia del pannello centrale Dio Padre, nei quattro pinnacoli i Dottori della Chiesa e nella predella Cristo in gloria e gli Apostoli. Una complessa macchina d’altare dove si avvertono chiari influssi della pittura umbra: non a caso l’autore dell’opera, da Monte San Pietrangeli, è stato allievo di Giovanni Santi, padre di Raffaello. E di suggestioni della pittura umbra si può parlare anche a proposito di Giuliano Presutti, con la pala d’altare realizzata per la chiesa abbaziale di Campofilone, dove appaiono la Vergine in trono tra i Santi Bartolomeo e Antonio abate.

  Una mostra quindi non rilevante dal punto di vista della quantità bensì della qualità, per la bellezza delle opere non meno che per la loro importanza in relazione alla storia della pittura nelle Marche (e nell’Italia in genere, perché, come accennato al’inizio, era tutto un intrecciarsi di influssi e richiami fra le varie Scuole). Ben ha fatto il Pio Sodalizio dei Piceni ad ospitare questi capolavori per attirare l’attenzione del pubblico sui danni provocati dal terremoto. D’altronde la storia del Pio Sodalizio, fondato nel XVII secolo per assistere gli studenti marchigiani indigenti e poi divenuto Arciconfraternita nel 1667 con “breve” di Innocenzo XI, è sempre stata incentrata sulla valorizzazione delle Marche, il cui patrimonio d’arte e di natura è tutto da scoprire, nonostante le ferite inferte dal sisma. Anzi, proprio come reazione e voglia di continuare.

“Dai Crivelli a Rubens. Tesori d’arte da Fermo e dal suo territorio”, Complesso monumentale di San Salvatore in Lauro, fino al 9 luglio. Tutti i giorni h.10-13 e 16-19 esclusi i festivi, ingresso gratuito. E’ gradita un’offerta che sarà destinata ai restauri a Fermo e negli altri centri del territorio. Per informazioni  crivellirubens.it e www.civita.it

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