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Fuga dallo Yemen

51ALvj5eovL._SX331_BO1,204,203,200_  Sana’a, la capitale dello Yemen, con le sue particolari architetture in terra cruda e gesso, le sue moschee, il colorito suq, l’antico caravanserraglio, città fiabesca celebrata da Pasolini che le dedicò un documentario auspicando il suo inserimento nella lista dell’Unesco. E così fu, Sana’a nel 1986 venne dichiarata “patrimonio dell’umanità”, un gioiello di urbanistica mediorientale che ora, con la guerra civile in corso, che ha già provocato migliaia di vittimei, rischia di andare perduto per sempre. Ma questa è, purtroppo, storia attuale, mentre fino a pochi anni fa la situazione era (relativamente) tranquilla, soprattutto negli anni ’80, quando molte imprese occidentali lavoravano nello Yemen, un paese che stava crescendo. E qui s’inserisce la storia di un nostro connazionale e la sua rocambolesca fuga da Sana’a, che per lui, da città bella ed ospitale, si era improvvisamente mutata in tetro carcere. E, dopo 36 anni, quando ormai non v’è più rischio di recar danno alle persone che lo hanno aiutato, Costantino Maria Casilli ha ripercorso quei drammatici giorni nel suo “Una stupefacente fuga da Sana’a, capitale dello Yemen del Nord” (all’epoca la nazione era divisa in due, la riunificazione avvenne nel 1990).

  Costantino o, meglio, “Nuccio”, come l’ho sempre chiamato dai tempi dell’università, da Napoli si trasferisce in Yemen per dare una mano al padre ingegnere, che trivella pozzi per conto del governo. E qui nasce il problema. Prima il ritiro del passaporto, che però non lo preoccupa (un cavillo burocratico, di sicuro), poi una riunione dove gli comunicano che suo padre deve risarcire i danni per macchinari difettosi. In realtà sono stati usati nel modo sbagliato ma il notabile che ha fatto l’ordinazione è il tipo che ha “comunque” ragione (ha conoscenze potenti) e dunque, finché non viene risarcito, lui funge da garanzia di pagamento. Altre riunioni con i classici tempi arabi, uno “shay” (tè alla menta) dopo l’altro e tante chiacchiere (mi ricorda quando, giovane giornalista, vagavo fra i ministeri di Tripoli concludendo in pratica nulla), poi la brutale conferma: due miliardi o la galera, cioè un fetido buco sottoterra (pag.35).

  Nuccio è in pratica un ostaggio e rischia di brutto perché il notabile non transige,  potrebbe rifugiarsi nella nostra ambasciata e lì restarvi confinato anche anni, ma vuole sfuggire a quest’incubo ed inoltre è forte il desiderio della famiglia. Comincia a maturare un piano di fuga, ben conscio che se preso finisce ai lavori forzati, conosce Ahmed, di lui può fidarsi, e insieme decidono per una bananiera che lo condurrà clandestinamente a Gibuti, nella parte africana del golfo di Aden. Trattano per 500 dollari subito ed il resto a bordo ma il mattino dopo, all’ora convenuta, nessuna barca è in vista della spiaggia. Nuovo tentativo, i contrabbandieri, e di nuovo un fallimento, devono scappare entrambi perché c’è serio rischio di rimetterci la pelle (che da queste parti non ha grandi quotazioni). Bisogna ripensare tutto e il padre, dall’Italia, dà suggerimenti preziosi: comunicano per telefono pubblico, in napoletano stretto, e si delinea il nuovo piano. Tramite due imprenditori italiani di stanza a Gibuti viene contattato un avventuriero francese, Michel, che con il suo 12 metri a vela lo prenderà a bordo dietro compenso di 8000 dollari. Appuntamento sulla spiaggia di Mokha ma un guasto tecnico rimanda al giorno dopo e qui la situazione si fa drammatica perché Nuccio, congedato Ahmed, equivoca. All’ora fissata non vede la barca bensì una nave e, credendo che Michel abbia cambiato per i soliti problemi meccanici, entra in acqua e nuota per ora, inutilmente. La nave si allontana, non è il francese, e ora lui, solo in mare aperto, pensa davvero che sia finita. Ma si riprende, nuota a fatica e, a tappe, torna riva, dopo oltre sei ore passate a mollo.

 Un pesce l’ha morso, il piede sanguina, per fortuna l’aiuta un arabo che lo porta al posto medico e poi in casa, dove lo riveste e lo sfama. E’ di nuovo sulla spiaggia, sabbia, vento, disperazione, ma decide di restare lì, accada quel che accada. E avviene il miracolo, giunge Omàr e questi, insieme ad Alì (due persone di fiducia, somalo l’uno yemenita l’altro), lo nascondono nella jeep ed entrano nel porto di Mokha. “Cuore a martello e respiro soffocato”, scrive Nuccio che ora si cala in acqua e, rasente molo, raggiunge la tanto agognata barca di Michel. Salpano, la costa si allontana ma i pericoli non sono finiti, c’è l’ispezione a bordo appena entrati nel porto di Gibuti. Passa anche questa, poi in battello, nascosto sotto i tappeti, mezzo soffocato ma salvo, entra in città e qui ottiene un foglio di via dal console italiano (il passaporto è a Sana’a). E finalmente il volo per l’Italia via Parigi, Napoli, la famiglia, la casa, le care abitudini. Giusto in tempo per il terribile terremoto del 1980, 23 novembre, che squassò l’Irpinia e ferì Napoli.

 Una storia davvero drammatica ma, contrariamente a come è logico pensare, vissuta “serenamente”. E’ paradossale, certo, ma Nuccio aveva risorse preziose cui attingere, il proprio sé, educato da anni di meditazione yoga e pratiche zen, nonché letture dei grandi mistici (San Juan de la Cruz, Teresa de Avila, Teresa di Lisieux). E i Sufi, quindi tutto un bagaglio esperienziale che, già favorito dal suo Dna propenso al bicchiere mezzo pieno e non viceversa, l’ha sorretto nei passaggi più difficili. Che sono stati non pochi e tuttavia ha sempre reagito con calma (non sempre olimpica ma quasi), una calma che si riflette nella scrittura, piana e fluida, per nulla adrenalinica, come una storia del genere supporrebbe. Cito l’esempio del secondo appuntamento saltato, quando divide il cibo con l’arabo che lo ha soccorso. Sa che, finita questa felice parentesi, tornerà alla sua pericolosa solitudine, eppure gusta quel pesce come la cosa migliore della sua vita. E questo è davvero Zen e mi ricorda la parabola dell’uomo inseguito da una tigre che, sull’orlo dell’abisso, si aggrappa ad un arbusto. Mentre sta cedendo vede una fragola e la coglie perché è questo lo Zen, andare “oltre” l’apparenza delle cose e non farsene coinvolgere.

  Dunque un libro che si può ben definire una lezione di vita, che peraltro ha il suo corollario in una seconda parte collegata idealmente alla prima, “…ed anche molto altro, tra cui il “Tormento” a Montecarlo”. Cinque appendici o capitoli, il cui comun denominatore è la consapevolezza di una maturità spirituale raggiunta dopo varie e difficili prove (una vita densa, divisa fra sei nazioni diverse). Lo Yemen è una di queste, certamente la più “tosta” ma altre non sono da meno, tuttavia Nuccio le ha sempre vissute con quella serenità che qui condivide con la moglie Lyuba ed i figli Dario e Ruben. Una serenità a suo tempo incrinata da quella che si chiama “ludopatia”, giorni e giorni trascorsi in spasmodica (e nevrotica) tensione al Casinò di Montecarlo. Un’altra complessa esperienza di vita, con pagine che ricordano “Rien va”, di Tommaso Landolfi, anche lui posseduto dal dèmone del gioco. Poi la liberazione e l’accesso ad un livello superiore che Nuccio, ora insegnante di Yoga da ben 40 anni (tiene corsi integrati), continua ad esplorare nella dimensione interiore del Silenzio, che tutti dovremmo riscoprire in quest’epoca della Parola Vuota. Poiché, come dice Gandhi, “silenzioso è colui che, potendo parlare, non proferisce alcuna parola inutile”.

“Una stupefacente fuga da Sana’a, capitale dello Yemen del Nord. Ed anche molto altro, tra cui il “Tormento” a Montecarlo”, di Costantino Maria Casilli, pagg.166. Il libro si può acquistare su Amazon, in edizione cartacea e kindle, rispettivamente 5,19 e 2,99 euro. Gratuito per gli abbonati servizio kindle unlimited.

2 Commentia“Fuga dallo Yemen”

  1. Per me la riscoperta di una storia vera di cui conoscevo poco, quasi niente. A tratti Paradossale, emozionante ma drammatica al tempo stesso. Incredibile come il protagonista se la sia cavata in quella situazione riuscendo a tornare a casa dalla sua famiglia dopo mille peripezie, alcune delle quali anche divertenti

  2. Una storia davvero intrigante, triste ma a tratti anche divertente ed un po’ buffa. Un libro che appassiona, che ti immedesima nel personaggio e che ti trasmette emozioni. Una fortuna incredibile, accompagnata da grandi sacrifici, ha aiutato il protagonista a tornare a casa, sorprendendo il lettore sempre più, spingendolo a leggere ogni singola pagina, fino alla fine.

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