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Il Cantico di Salomone

  “Le tue labbra stillano nettare, o sposa,/ c’è miele e latte sotto la tua lingua/ e il profumo delle tue vesti è come quello del Libano.” E’ un verso di quel poema d’amore incastonato nel Vecchio Testamento che è il Cantico dei Cantici, attribuito a Salomone ma probabilmente scritto nel IV secolo a.C. Qui s’intrecciano motivi squisitamente umani e metafore dell’amor divino, dove si adombra il rapporto con l’istituzione ecclesiale che lo rappresenta in terra. Di certo punto focale è la sacralità dell’amore e in tale prospettiva l’Ensemble La Cantoria ha impostato il suo concerto, dove si sono alternate letture del Cantico ed esecuzioni di musiche sacre del ‘600.

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  Già la cornice d’insieme, gli splendori barocchi di Santa Maria in Portico in Campitelli, creava un clima particolare, che il primo brano ha reso quasi magico. Il delicatissimo “Stabat Mater” mottetto per soprano solo, di Giovanni Felice Sances, dapprima a Roma e poi kappelmeister a Vienna, brano di infinita dolcezza sottolineata dal violoncello e dalla tiorba. Poi la lettura (“Una voce! l’amato mio!/ Eccolo, viene/ saltando per i monti,/ balzando per le colline.”) e “Osculetur me”, di Adriano Banchieri, per due soprani che dialogano fra loro, componendo una sorta di delizioso ricamo vocale.

  “Quanto sei bella, amata mia, quanto sei bella!” e subentra la voce del grande Girolamo Frescobaldi, una “Fantasia” eseguita sull’organo Pollicoli, prezioso strumento datato 1635. E’ un organo positivo, ad un solo manuale, e ciò che incanta l’uditorio è il suono, una vibrazione purissima che dilata per l’abside dove troneggia lo splendido tabernacolo dorato nel quale è custodita l’icona mariana dell’anno 1000.

  “Sono venuto nel mio giardino, sorella mia, mia sposa,/ e raccolgo la mia mirra e il mio balsamo.” Segue un brano di Alessandro Grandi, compositore di mottetti e madrigali concertati, che fu vice maestro di cappella a Venezia accanto a Monteverdi dal quale venne stilisticamente influenzato. “O quam pulchra es”, per soprano solo, ne è un ottimo esempio, interessante per la sua dinamica compositiva.

  “Io sono del mio amato/ e il mio amato è mio;/ egli pascola tra i gigli.” E qui Monteverdi ci sta davvero bene, con la dolcezza melodica di “Pulchra es”, per due soprani, che sottolinea l’idillio d’amore. “Il tuo ventre è un covone di grano ,/ circondato da gigli./ I tuoi seni sono come due cerbiatti, gemelli di una gazzella.” E di nuovo  Monteverdi, “Nigra sum sed formosa”, per tenore solo, dove le morbide sinuosità madrigalesche (è proprio la nascita del “belcanto” italiano) hanno un sapore finemente erotico. “Io sono del mio amato/ e il suo desiderio è verso di me.” Infine “Mettimi come sigillo sul tuo cuore,/ come sigillo sul tuo braccio”, con il “Concerto di dui  Angioletti in Dialogo”, di Adriano Banchieri, per due soprani, che suggella in bellezza il Cantico. E viene in mente l’immagine degli angioletti barocchi che formano ghirlande festose sugli altari, l’immagine giusta per concludere una serata davvero speciale.

  La levità, questa la nota preminente, uno stato di grazia che ha caratterizzato ogni momento del recitato e del cantato, l’uno attingendo all’altro in uno scambio di reciproca armonia. In fondo tale è il senso del concerto-lettura, parlare della bellezza che accomuna musica e poesia, concetto pienamente espresso in virtù della squisita sensibilità barocca dell’Ensemble La Cantoria (di loro ricordo l’ottima esecuzione della “Messa dei morti à 5 concertata”, di Bonaventura Rubino, da me recensita qualche tempo fa).

  Andrea Manchée, Paola Ronchetti, soprani, Vincenzo Di Betta, tenore, Luigi Polsini, viola da gamba, Simone Colavecchi, tiorba, Paolo Tagliaferri, organo positivo, Vincenzo di Betta, maestro concertatore al clavicembalo. Cristina Del Sordo e Stefano Cuneo, voci recitanti. Introduzione del Padre cappuccino Egidio Picucci. La serata in ricordo della fotografa Elisabetta Catalano, un delicato omaggio alla sua arte.

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