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Il gran ballo di Carnevale.

<< Non stringere così, bellezza! >> disse Carmelo, con finto fastidio.

<< Lo so, ma io sono il cavaliere e devo evitare che mi caschi ai piedi>> replicò Franco con autorevolezza.

La scena inconsueta si svolgeva nel salotto di casa Di Stefano, alla presenza divertita di Mariangela, sorellina di Carmelo. I due stavano provando un passo di danza, per mantenersi in allenamento e –sperabilmente – migliorare le prestazioni da tersicorei in vista dell’annuale serata carnevalesca dalle sorelle Fiorito, vicine di pianerottolo dei Di Stefano.

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Mara e Rosa Fiorito, diciannove e ventidue anni, erano ballerine di lungo corso e facili a fraternizzare, specie con l’altro sesso. Si erano avvedute molto presto delle difficoltà di Carmelo e spesso, quando erano libere da impegni con i giovanotti ben più aitanti che di solito le frequentavano,  si prestavano amorevolmente a qualche lezioncina pratica, a suon di grammofono, sopportando pazientemente i pestoni del giovane plantigrado.

Anche Franco era stato posto sotto l’ala protettiva e didascalica delle fanciulle.  Mara, in particolare, era palesemente incuriosita dall’approccio culturale e dalla passione con cui il giovane  trattava ogni questione, anche se raramente poteva comprenderli fino in fondo.

Con Gigino, che talvolta assisteva alle lezioni, non vi fu mai possibilità di un coinvolgimento diverso da quello voyeuristico che lui amava concedersi. Troppo grande la timidezza del ragazzo e troppo grande la buona volontà e lo spirito di sacrificio che sarebbero occorsi per il suo istradamento verso la normale tenuta di rapporti con le coetanee.

<< Un due tre, un due tre, il valzer ha il tempo di tre quarti, non troppo veloce e soprattutto con leggerezza, pensa alle libellule!>>

<< Orso, orso!>> rideva Mariangela battendo il tempo con le mani.

<< Non ce la faccio, è troppo per me. Proviamo il lento. Mariangela, metti “La Playa” !>>

Dopo qualche secondo di silenzio cominciò a spargersi nella stanza l’inconfondibile suono del sax di Fausto Papetti, e Carmelo, incoraggiato, si lasciò cingere nuovamente dall’amico.

In quel frangente il capofamiglia, appena rientrato dalle fatiche poliziesche, attirato dalla musica mise il naso nella stanza.<< Mio Dio, che mi tocca vedere!>>

<< Fidanzati, fidanzati !>> cominciò a celiare la bambina.

<< Maresciallo, noi …>>

<< Lo so, lo so, la serata di Carnevale, ma non sopporto lo stesso !>> e andò via disgustato, bofonchiando sulla gioventù attuale e su quella – maschia – da lui vissuta, quella che marciava “ con romana volontà”.

Come Dio volle, dopo altri allenamenti forzati e molte risate di Mariangela, si giunse alla serata fatidica, l’ultimo sabato di bagordi prima della Quaresima.

Il salotto di casa Fiorito era stato svuotato del superfluo e addobbato con lampioncini di carta cinesi. Rimanevano poche sedie ai margini per l’inevitabile fase di “ tappezzeria” che a turno toccava a taluni invitati, per via della differenza numerica che si registrava fra presenze femminili e maschili, queste ultime sempre misteriosamente superiori. Restava anche un mobiletto bar, pieno di vermouth da due litri, doppio Kummel e gazzose.

La festa non era a tema, ed ognuno, pur senza un abbigliamento in maschera in senso stretto, recava qualche segnale del Carnevale in corso. Chi sfoggiando capigliature rétro, chi indossando copricapi da bella castellana  o da re, chi semplicemente accentuando vistosamente i tratti del volto con lapis e rossetto o corredando gli abiti di lustrini.

Carmelo e Franco si presentarono in abito scuro e cravatta, il primo con pizzetto e sopracciglia dipinte all’insù, tipo mefistofele, il secondo con barba e sottolineatura delle rughe in fronte e sul viso, da vecchio centenario.

Le padrone di casa, in abiti approssimativamente medievali, si erano truccate il viso in maniera vistosa, dicendo in giro che si erano travestite da sorelle di Cenerentola, ma tutti pensarono ben altro.

Alle nove in punto, quando già il locale era gremito, fece il suo ingresso sussiegoso un invitato mai veduto dagli aficionados della casa e l’unico con mascherina sul volto: mantello nero su abito scuro, cappello nero con falde e nastrini, e una inconfondibile zeta vergata ad inchiostro sulla guancia sinistra.

 Era Saro, presentato pochi giorni prima a Rosa: << Siamo già al massimo della capienza, ma considerato chi ti presenta …>> aveva mentito spudoratamente la fanciulla, che del nuovo conoscente aveva subito apprezzato l’aria vagamente guascona e contemporaneamente lo sguardo che di sottecchi zoomava sulle sue grazie ben in mostra.

<< Salve a tutti!>>, disse allargando le braccia in atto di benedizione collettiva.

<< Più che Zorro mi sembri il Papa!>> commentò subito Franco.

<< Bisogna fare colpo!>> ribattè l’interessato. << L’ambiente è già caldo ? Vi siete allenati in settimana ? Non mi fate fare mala comparsa!>>

Rosa, che lo aveva accompagnato, già prenotata per il primo ballo da un soggetto da film di Maciste, gli fece segno che subito dopo toccava a lui.

<< Visto, già rotto il ghiaccio. Buona serata, picciotti !>> e allontanò lo sguardo dagli amici facendo una panoramica generale in attesa degli eventi.

Verso le dieci la situazione si andava stabilizzando. La totalità delle fanciulle era sempre impegnata e la maggior parte dell’altro sesso, con i turni dovuti all’aritmetica, aveva già colto l’occasione di farsi valere. Franco aveva danzato due volte con Mara ed un’altra volta era stato fatto preda di una fatina alta un metro e mezzo e larga quanto bastava per inquadrarla nel genere maiolicato.

Carmelo era ancora a secco. Non fidandosi di lanciarsi in balli diversi dal lento, attendeva l’inizio della musica e quando aveva individuato i ritmi a lui consoni, era troppo tardi perché tutte le coppie si erano già formate.

<< Devi partire alle prime note, se no farai sempre tappezzeria>> gli disse Franco in una delle pause che anche lui doveva accettare.

E Saro, che era richiestissimo, mollando un attimo  ballerina del momento e  mascherina da Zorro,  lo incitò: << O ti esibisci nel prossimo quarto d’ora, o non ti riconosco più come amico, anzi dirò a tutti che sei un infiltrato! >> e si coprì nuovamente il sembiante, rientrando in un vorticoso rock-and-roll.

Trascorso infruttuosamente l’ultimatum, Saro si offrì benevolo:<< Appena c’è il primo attacco della musica, se è un lento ti faccio segno e tu parti. Intanto adocchia la dama, così fai prima.>>

Carmelo al ballo successivo drizzò le orecchie e guardò Saro, ma nulla accadde perché era un samba.

Subito dopo stessa attenzione spasmodica: Carmelo era appena appoggiato con le natiche alla sedia, con una gamba flessa in avanti e l’altra  più dietro pronta alla spinta decisiva, come al gioco del Musichiere. E Saro fece un gesto con la mano in alto che a Carmelo parve la pistola dello starter nelle gare dei cento metri. E si gettò nella mischia, in un battibaleno prese per mano la fatina maiolicata e la strinse a sé. “Mare perchè questa notte mi inviti a sognar…”, la voce soave di Luciano Tajoli invase la stanza e fu la catastrofe.

 Era un tango e la performance durò circa un minuto per abbandono della dama, causa pestoni e scontri violenti con le altre coppie.

Alla pausa Franco e Saro si ritrovarono accanto all’amico affranto, come i secondi all’angolo negli incontri di boxe.

<< Ma che m. di segnale hai fatto?>> disse Carmelo respirando con affanno.

<< Rosa mi stava dicendo che le sembravo un cow-boy e io ho mimato:“ see, con la pistola!”

A te manco ti pensavo !>>

<< Non ci credo, l’hai fatto apposta!>>

<< Sì, per timore di concorrenza!>> e Saro rientrò nel vortice dei balli.

La serata andò avanti come era cominciata e prima di mezzanotte Carmelo, riabbassate le sopracciglia mefistofeliche, sgattaiolava nel pianerottolo e rientrava a casa.

La nottata non fu serena e non solo per il frastuono che proveniva dall’appartamento accanto.

Nella fase di sonno “rem”, tra continui cambi di posizione e scrollamento di coperte, apparve il solito san Tommaso, stavolta in versione western, che anziché il dito brandiva la canna di una pistola, e lo rincuorava profferendo didascalico “prova e credi, prova e credi”, e avvicinava la canna sempre più, finchè Carmelo si svegliò di soprassalto, sudato e impaurito. Riprese un sonno prudente e guardingo solo alle prime luci dell’alba.

(Selezione dei brani dal libro di F. Romeo, CATANEIDE, Città del Sole Edizioni, a cura di Enzo Movilia)

2 Commentia“Il gran ballo di Carnevale.”

  1. Erano queste le feste all’inizio degli Anni Sessanta, faticosissime da organizzare ed il più delle volte anche deludenti a causa del fallimento e delle incavolature che ne seguivano per il mancato aggancio con la “preda” ambita.
    Adistanza di cinquant’anni, però, tutto appare diverso e io personalmente avverto anche una grande nostalgia per quella certa “pulizia” dell’anima e per quella innocenza dei sentimenti che oggi non vedo più.
    Sarò invecchiato e forse anche rincoglionito (i miei figli me lo dicono per prendermi in giro, ma non c’è dubbio che oggi lo spartito è cambiato. E se dico che è cambiato in peggio non sbaglio di molto.

  2. Giovanna Marfia // 10 maggio 2014 a 9:18 // Rispondi

    Me le ricordo quelle feste, quindici maschi e tre femmine e tutti attorno a loro per un minuto appena di strofinamento “quasi” autorizzato.
    Io ero una delle tre, ma confesso che ci andavo perchè mi piaceva un ragazzo timido e un po’ bruttino, con un paio di occhiali spessi ed inguardabili. Davvero il brutto anatroccolo, ma qualche anno dopo il brutto anatroccolo è diventato uno splendido cigno ed è diventato mio marito.

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