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Italia mirabilis

                                                      Italia mirabilis

di Antonio Mazza

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Ecco l’altare dei nostri Padri antichi, i nostri mitici Penati, l’ara che troneggia all’inizio della bella mostra ospitata alle Scuderie del Quirinale, “Tota Italia”, dedicata alle origini del nostro paese. Ed è leggenda, nel marmo si narra del Lupercale e dei due gemelli allattati dalla lupa e di origine divina, perché figli di Rea Silvia e Marte. La cesta con i fanciulli si arenò nella palude del Velabro, alle pendici del Palatino, e  qui, all’ombra del Ficus Ruminalis, la lupa si prese cura di loro (vedi il famoso quadro di Rubens). E qui inizia tutto e sarà Roma la Grande quale l’abbiamo ereditata noi, con la sua storia e le sue imponenti rovine. Così la conosciamo, ma come era “prima”?

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Ed è questo lo scopo della mostra “Tota Italia”, una sorta di carrellata retroattiva in un passato storico che vede la futura Italia abitata da svariati gruppi etnico-linguistici, come risulta dalla cartina in sovrimpressione sulla parete che parte dal 509 a.C., con il suo denso frazionamento territoriale, per giungere al 7 d.C., quando la Pax Augustae sancirà l’unità del paese. Roma, quel puntino sulla carta, aveva a nord gli Etruschi, gli Umbri, i Sabini, a est i Volsci, i Marsi, i Piceni, a sud i Dauni, Iapigi, Lucani e intorno altri popoli latini. Solo per citarne alcuni, ovviamente, e da ognuno, Roma assorbì qualcosa, per una sorta di osmosi culturale. Soprattutto, come sappiamo, quando si espanse nel Mediterraneo e raggiunse le coste elleniche, tanto da far dire a Orazio che “La Grecia, conquistata, conquistò il selvaggio vincitore e portò le arti nel Lazio ancora agreste”.

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I primi influssi vennero dall’Etruria, presente nell’Urbe sin dalle origini con i re e i commerci (e memoria ne rimane nel “vicus tuscus” al Foro Romano). Un esempio è lo splendido Trono Corsini del I secolo a.C. decorato con motivi rituali che rievoca i seggi etruschi di epoca arcaica. E in quanto all’influsso della cultura greca, la cui raffinatezza ingentilirà i romani molto più pragmatici, da ammirare lo spettacolare “trapezophoros” del IV secolo a.C., un sostegno di mensa in marmo con due grifoni che attaccano una cerva recuperato sul mercato clandestino dai Carabinieri del nucleo Tutela Patrimonio Culturale. Ma, in quei secoli lontani, ogni gruppo ha una sua peculiarità culturale e questa è evidente soprattutto nelle necropoli, dove la ricchezza del corredo funebre rivela l’importanza del personaggio.

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Così la tomba dauna del III secolo a.C. detta “dei due guerrieri”, con l’armatura e una cornice di vasi greci e canosini, dalla particolare fattura (statuette di terracotta che poggiano direttamente sui vasi). O le magnifiche lastre tombali del IV secolo a.C. di Paestum, la Paistom dei Lucani, con il motivo del “ritorno del guerriero”, senza dimenticare la famosa Cista Ficoroni, cofanetto portagioielli del IV secolo a.C. dall’antica Praeneste, con iscrizione in latino arcaico e la raffigurazione del mito degli Argonauti. Si configura la presenza, che diverrà costante nella cultura romana, del mondo greco con i suoi miti e le sue divinità, come Eracles, Ercole, venerato nel mondo latino (e qui un bel rilievo del I secolo a.C. relativo all’aspetto oracolare). O la triade Zeus-Era-Atena, che ritroviamo nella triade capitolina Giove-Giunone-Minerva del II secolo d.C. recuperata dai Carabinieri del nucleo Tutela Patrimonio Culturale.

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Roma si espande ed ingloba gli altri popoli e le loro culture e inizia un processo d’ibridazione dove confluiscono elementi del linguaggio scritto, presenza di numi tutelari, usanze rituali. Abbiamo qui una stele in lingua osca, le tavole eugubine in umbro, la tabula cortonensis in etrusco e, di contro, divinità arcaiche che si richiamano al comune tipo mediterraneo della Magna Mater. Molto interessante la dea Angizia, dei Marsi, la cui radice originaria, anguis, serpente, trova una continuità (rituale, si potrebbe dire) nella festa dei serpari di Cocullo (nel territorio dell’antica Marsica). Ma decisiva per Roma sarà la sconfitta di Cartagine, perché così le sue navi militari e onerarie apriranno nuove rotte nel bacino mediterraneo e questo significherà soprattutto un interscambio culturale (notevole il rilievo con navi da guerra del I secolo a.C.).

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La Grecia in primis, dando ragione alla frase di Orazio citata all’inizio, perché nel contatto Roma affinerà i suoi costumi e la libertà sui mari favorirà il legame con il mondo ellenico. Ne risulta un deciso affinamento del senso estetico, la bellezza e il lusso si diffondono nell’Urbe e in città importanti come Pompei, soprattutto presso la classe aristocratica, con produzione d’influsso greco o d’importazione. Lo evidenziano reperti di pregevole fattura, come un elegante cratere con anse e volute in alabastro del I secolo a.C, l’Apollo lampadoforo del I secolo a.C. e l’eccezionale letto funebre in osso del II secolo a.C. E non si può non pensare allo sfarzo delle case pompeiane e di Ercolano, quest’ultima presente con un delizioso affresco proveniente dalla Villa dei Papiri, un’anatra appesa e due antilopi.

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Ma anche la statua bronzea del pugile in riposo del I secolo a.C. scelta a simbolo della mostra è stilisticamente in odore di “grecità”, mentre più realistici, perché di fattura romana, quindi non idealizzante come quella greca, sono i ritratti di epoca imperiale della Scuola dei Medici (particolarmente incisivo il volto di un vecchio). E, dopo un lungo percorso storico iniziato in epoca arcaica, con il “sulcus primigenius” impresso ritualmente per configurare il perimetro della futura città di Roma (cerimonia di derivazione etrusca, così come le divinazioni di contorno), giungiamo alla figura del fondatore della dinastia giulio-claudia. Caio Giulio Cesare Ottaviano Augusto, princeps sommo (un bel ritratto in capite velato), capo politico e religioso, rinnovatore dei costumi e protagonista illuminato di quel processo di ibridazione iniziato nel 509 a.C. (ma già fermentava dai tempi mitici della “Roma quadrata”, sul Palatino) e giunto alla sua maturità nel 7 d.C. con appunto il divus Augusto.

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Scrive Tacito negli Annales che “furono chiamati a far parte del senato uomini provenienti dall’Etruria, dalla Lucania e da tutta l’Italia e, da ultimo, i confini dell’Italia stessa furono estesi sino alle Alpi, perché non solo i singoli individui, ma interi territori di popoli si congiungessero in un solo corpo sotto il nostro nome“. E qui, in questa nuova entità antropologico-culturale, sono le nostre radici.

“Tota Italia”, a cura di Massimo Osanna, direttore generale dei musei statali e Stéphane Verger, direttore del Museo Nazionale Romano. Alle Scuderie del Quirinale fino al 25 luglio. Da lunedì a domenica h.10-20, biglietto intero euro 15, ridotto 13, è consigliata la prenotazione. Per informazioni www.scuderiequirinale.it


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