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La bisaccia del pellegrino

  A maggio dell’anno passato un gruppo di giornalisti-camminatori partì dal Passo del Gran San Bernardo per discendere la Penisola seguendo l’itinerario della Via Francigena, quale ci ha tramandato l’arcivescovo di Canterbury Sigerico, che la percorse nel X secolo. Era un progetto che risaliva al 2005 ma, allora, mancavano le infrastrutture, dalla segnaletica all’ospitalità, poi, gradualmente, s’è capita l’importanza della Francigena e, negli anni, quei segmenti ancora intatti, non cancellati da costruzioni o autostrade, sono stati valorizzati ed ora vengono percorsi da migliaia di pellegrini non solo italiani.

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  D’accordo, non è il Camino di Santiago, itinerario senz’altro più omogeneo come tracciato, ma ha comunque una sua “personalità”, fatta di suggestioni di antichi borghi medioevali, pievi isolate, rovine fasciate d’erba e di silenzio. E’ la bellezza del paesaggio italiano, che muta di regione in regione, dove l’opera dell’uomo nei secoli e l’ordito della natura creano spesso alchimie di raro fascino, malgrado cementificazioni e inquinamento. Percorrere 1000 km. d’Italia, che tale è la distanza dal confine a Roma, significa non solo attraversare città e paesi ma immergersi nei territori e filtrarne l’essenza umana, che si esprime nell’artigianato e nel cibo. Ed ecco l’idea vincente alla quale hanno lavorato Civita, l’Associazione delle vie Francigene, con il supporto della Regione Lazio e Toscana, la Fondazione Roma e, naturalmente, la Rai, un progetto ambizioso ora diventato libro, “La bisaccia del pellegrino”.

  Il sottotitolo è emblematico, “camminare di gusto lungo la Via Francigena”, proprio perché questo particolare modo di viaggiare, un “turismo lento”, permette di cogliere umori e sapori dell’ambiente intorno, a differenza del turismo normale, all’insegna dell’efficientismo low cost. Il senso di questa operazione ha una doppia valenza, spirituale, cioè il pellegrinaggio come l’andare “verso”, metafora della vita come lo era per i “romei” diretti alla tomba di Pietro, e l’andare quale modo di pura conoscenza, il rapportarsi diretto a uomini e cose, scandito dai tempi che si dà il corpo, un passo dopo l’altro, nel giusto ritmo. E proprio questo senso binario è stato sottolineato nel corso della conferenza di presentazione del libro nelle sede romana di Civita, che ha visto partecipare il vice presidente Nicola Maccanico, Serena Ghisalberti, Fondazione Roma, Giovanni D’Agliano, Turismo Regione Toscana, Lidia Ravera, Assessore alla Cultura Regione Lazio, Sergio Valzania, storico e saggista, Massimo tedeschi, Presidente Associazione Europea Vie Francigene, Toni De Amicis, Direttore Generale Fondazione Campagna Amica, Carlo Hausman, Direttore Generale Azienda Romana Mercati.

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  Come si vede dalle sigle una commistione di generi, per così dire, e in effetti la cultura di un paese non è solo la sua arte ma anche la tradizione enogastronomica, come appunto compare nella Bisaccia. Cinquantasette sono i prodotti inseriti nel libro, tutti “testati” dai giornalisti-camminatori, una piccola ma significativa parte delle ben diecimila specialità alimentari che costituiscono il nostro invidiabile patrimonio enogastronomico. E “La bisaccia del pellegrino” diventa così un marchio di prodotti francigeni di qualità, ognuno di essi con una tradizione che si perde nel tempo. E ne risulta un’operazione di marketing molto intelligente perché la Francigena  tocca  centri grossi e piccoli, quindi si rivaluta anche un aspetto “minore”, in termini di territorio e di gastronomia (che, come il paesaggio, varia nel giro di pochi km.).

  Qualche esempio. Il castello di Verrès in Val d’Aosta e, nella pagina di contro, la micòoula, pandolce di segale e frumento; la splendida basilica di Sant’Andrea a Vercelli e i nocciolini di Chivasso; il castello di Garlasco e il vino Bonarda dell’Oltrepò Pavese (doc);  l’abbazia di Chiaravalle della Colomba e il culatello di Zibello; Altopascio e il prosciutto bazzone della Garfagnana;  Abbadia a Isola e il buristo; la chiesa del Santo Sepolcro ad Acquapendente e le ciliegine disidratate; Capranica e il pane francigeno campagnese; la chiesa di San Lazzaro dei Lebbrosi a Roma, dove spesso i pellegrini malati finivano in quarantena, e il pangiallo.

  Una pubblicazione godibilissima, perché alle accurate descrizioni di storia e arte fanno riscontro quelle enogastronomiche, con testo bilingue, in quanto il pellegrinaggio sulla Francigena attira sempre più stranieri sedotti dal “turismo lento” (e dal conoscere così l’Italia in modo diverso). Ma, accanto al libro stampato, c’è quello virtuale un ebook intitolato “Cammin scrivendo”, dove tre scrittori, Caterina Bonvicini, Francesco Longo e Antonio Pascale parlano della loro esperienza “on the road”(entrambi i libri sono editi da Marsilio).  E l’immagine finale è quella di un paese che, così vissuto, fuori dei normali itinerari, andando per strade secondarie, sentieri e tratturi, rivela un fascino inusuale. Fuori del caos quotidiano lo si osserva e vive in maniera diversa perché, come dice Lidia Ravera, “Camminare produce pensieri leggeri” e “Il vuoto di pensiero è un’esperienza igienica”. Pienamente d’accordo.

20“La bisaccia del pellegrino – Camminare di gusto lungo la Via Francigena

(“Pilgrim’s pouch – Savouring the walk along the Via francigena”).

Per informazioni www.civita.it dove si può anche scaricare l’ebook. E, ovviamente, www.viefrancigene.org.

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