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La Regina Viarum

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                                              La Regina Viarum

di Antonio Mazza

  “Un paesaggio ampio e cosparso di rovine e di luoghi selvaggi, un groviglio di sepolcri, disseminati qua e là di torri e di frammenti anonimi di antiche murature”. Così il grande scrittore americano Henry James percorrendo a cavallo l’Appia Antica, all’epoca un lungo segmento di basolato che si snodava nel verde e nella solitudine della Campagna Romana (“Per la prima volta mi sento vivo!”, scriveva al fratello William, sedotto dalla Città Eterna con il suo fascino di secoli stratificati). Un museo all’aperto che tale restò a lungo, pur se il Canina e poi il Lanciani, nella prima e nella seconda metà dell’800, denunciavano abusi da parte dei privati. Nel 1931 il Piano Regolatore prevedeva la tutela del Parco dell’Appia Antica ma poco si fece, come pure nel 1953, area sotto vincolo, puntualmente disatteso perché, ormai alla vigilia del boom economico, stava dilagando la febbre edilizia.

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   Così, al grido di “all’appalto, all’appalto!” , spesso con la compiacenza degli amministratori locali, palazzinari e non recarono al territorio ferite insanabili che ancora oggi scontiamo in modo spesso drammatico (vedi il dissesto idrogeologico). E l’Appia, che in duemila anni aveva solo subìto l’inevitabile logorìo del tempo, improvvisamente risultò minacciata lungo l’intero suo percorso. Ne sparirono vari tratti, sommersi dal cemento o dall’asfalto, ma i guasti peggiori si ebbero nell’area romana. Qui si concentrò lo zoccolo duro della speculazione edilizia, distruggendo le aree verdi che isolavano la strada consolare e costellandola di ville abusive, fino a cancellare intere sezioni di basolato. Uno scandalo che caratterizzò gli anni ’60, al quale si oppose con determinazione Antonio Cederna, tra i fondatori di “Italia Nostra”. Personaggio scomodo per molti ma autentico pioniere dell’ambientalismo (oggi sarebbe senz’altro nominato Cavaliere della Repubblica), nel 1993 fu presidente dell’Azienda Consortile del Parco Archeologico dell’Appia Antica (istituito nel 1988 dalla Regione Lazio) e il 9 febbraio 1997, data storica, ci fu la prima domenica a piedi (nel 2016 il Parco divenne istituto di livello nazionale dotato di speciale autonomia).

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  Nel cuore del Parco, a Capo di Bove, complesso acquistato per prelazione dallo Stato (all’interno le terme di Erode Attico e Anna Regilla, II secolo d.C.) e ora sede dell’archivio Antonio Cederna, “Still Appia”, una mostra fotografica che si può ben definire un omaggio al padre spirituale della Regina Viarum a cent’anni dalla nascita (per lui la Via Appia rappresentava l’ “identità italiana più profonda”). Autore Giulio Ielardi, che, zaino in spalla, camera e tracolla e la stessa curiosità dei viaggiatori del Grand Tour, ha percorso 630 km. in 29 tappe (rinnovando la mitica impresa di Paolo Rumiz, nel 2015, alla quale si è ispirato). Giornalista free lance e da sempre interessato al patrimonio culturale e quello ambientale che, giustamente, vede fra loro interconnessi, ha raccolto nel suo andare verso l’antica Brundisium, il terminale dell’Appia, un’abbondante e bellissima documentazione fotografica. Questa è sintetizzata in 53 immagini il cui senso va oltre la semplice rappresentazione, diciamo così, “turistica”, racchiudendo un significato ben più ampio. Recupero storico-archeologico nel segno di quel cammino lento che, ormai diffusosi nel nostro paese, ha permesso -e permette- il recupero di antiche reti viarie (la Francigena, il Cammino di San Francesco, la Via Micaelica, solo per citarne alcune), ma soprattutto un’intensa esperienza antropologica.

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  Quattro regioni attraversa l’Appia, Lazio, Campania, Basilicata e Puglia, quattro diversi bacini culturali dove Ielardi, oltre alle testimonianze fotografiche, ha raccolto quelle umane, di relazioni interpersonali, come risulta nel suo diario giornaliero. Alla descrizione per immagini fa da controcanto quella contenuta nel volume di corredo alla mostra, note sul percorso, storie di incontri, aneddoti, personaggi, appunti di gastronomia. L’Appia quindi come una linea d’unione che attraversa e congiunge non solo spazi materiali ma dimensioni umane diverse, come i paesaggi incontrati “on the road”, e tuttavia accomunati da una stessa sensibilità di fondo. E questa è la meraviglia del nostro paese, spesso nascosta nelle pieghe del territorio che solo con un’avventura di cammino lento, quale quella vissuta da Ielardi, è possibile scoprire. Ma veniamo alle immagini.

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  I primi km. sono decisamente e autenticamente SPQR, rovine e verzura, poi alle Frattocchie termina il basolato e la Regina Viarum scompare in più tratti, cancellata da un territorio fortemente antropizzato. E tuttavia il percorso, pur invisibile, è lì, dove ora sorge un centro commerciale o dove un mausoleo che costeggiava l’Appia appare circondato da palazzi condominiali. Lacerti di basolato sommersi dall’asfalto si alternano a costruzioni invasive, che magari inglobano frammenti scultorei, o è la segnaletica stradale ad offuscarne la vista. Le brutture si alternano a momenti di bellezza, ma non è intenzione di Ielardi far polemica, peraltro scontata in partenza, che sappiamo quanto poco contasse fino a tempi recenti la nostra memoria storica. Lui annota e guarda avanti, cattura le immagini del qui ed ora e le proietta in un tempo prossimo, un discorso da affrontare insieme, dove l’Appia Antica ritrovi una sua valenza non solo storica ma di dimensione umana. “Un sogno chiamato Appia”, come lo definisce lo stesso Ielardi.

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  Questo il senso delle immagini che collegano quattro regioni, il rudere fra le case, la fontana nella valle, i solchi carrai dell’Appia, gli uliveti, le masserie del Sud, fino al termine, l’ingresso di un centro commerciale di Brindisi (del tutto inedita l’immagine di un conta-pecore a tre posti ricavato in un muretto a secco di uno stazzo a Grottaglie). Una chiusa in un certo senso allegorica perché dall’oggi si può ripartire costruendo qualcosa di nuovo se prima, però, ci riconciliamo con un passato che abbiamo troppo spesso profanato (“Still Appia”, cioè ancora Appia, non dimenticata ma recuperata e rivitalizzata). Qui stanno le nostre radici e questo vuol ribadire con forza il viaggio di Ielardi, forse più interiore che esteriore, l’Appia come uno stato d’animo (senza dimenticare gli aspetti pratici derivanti dal ripristino dell’antico tracciato, in termini di microeconomia legata al turismo lento). E’, nota personale, quanto ho provato percorrendo il tratto da Santa Maria delle Mole al Circo Massimo, una sensazione simile a quella vissuta sulla Francigena: un cammino verso, ma soprattutto “dentro”.

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“Still Appia. Fotografie di Giulio Ielardi e scenari del cambiamento”, Complesso di Capo di Bove, Parco Archeologico dell’Appia Antica (Via Appia Antica 222), fino al 9 ottobre, la “Giornata del Camminare” promossa da Federtrek. Da martedì a domenica h.9-19,15, biglietti: ingresso con la Mia Appia Card, euro 10 + 2 prevendita (ridotto 2 + 2). Per informazioni 067806686 e www.parcoarcheologicoappiaantica.it . La mostra è organizzata dal Parco e curata da Luigi Oliva e Simone Quilici, Direttore del Parco, con il patrocinio dei Consigli Regionali del Lazio, Campania, Basilicata e Puglia, oltre il patrocinio del Parco Regionale dell’Appia Antica, del Parco Regionale dei Castelli Romani, del Comune di Mesagne, di Italia Nostra e della Compagnia dei Cammini. Partner culturale la FIAF, Federazione Italiana Associazioni Fotografiche. Assolutamente da segnalare il ricco catalogo edito da Gangemi che, oltre a saggi di autori vari e le foto di Ielardi ne contiene il gustoso nonché emozionante diario day by day, da leggere tutto d’un fiato.

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