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La stanza di Mantegna e il Gotico americano

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  Andrea Mantegna, forse la figura più rappresentativa della fase di passaggio dal  tardo gotico al Rinascimento, anzi, addirittura emblematica per quel suo rivisitare moduli antichi con una sensibilità nuova. Un linguaggio pittorico deciso, di rude bellezza, che si direbbe quasi scolpito sulla tela, poiché esprime, esaltandola, la particolare sensibilità di un’epoca di ricerca. Soprattutto il gusto antiquario, non solo mero collezionismo ma rilettura di moduli antichi, come appunto il Mantegna, con le sue figure ed i suoi ornati. Non a caso, infatti, frequenta la bottega di Francesco Squarcione, pittore e collezionista, assorbendone lo spirito decisamente umanistico.
E il risultato è in capolavori sparsi nelle città del nord Italia, sia opere pittoriche (la Pala di San Zeno a Verona, il Cristo morto ora all’Accademia di Brera), sia cicli di affreschi (La camera degli sposi a Mantova, la Cappella Ovetari agli Eremitani di Padova, purtroppo devastata dai bombardamenti). Molti lavori sono finiti all’estero e dunque non si può non accogliere con grande interesse “Ecce Homo” e “Madonna con il Bambino tra i santi Gerolamo e Ludovico di Tolosa” provenienti dal Museo Jacquemart-André di Parigi. Insieme ad altre quattro opere più o meno dello stesso periodo sono parte della collezione che André e sua moglie Nélie Jacquemart  lasciarono in eredità allo Stato francese.
Decisamente superba la rappresentazione del Cristo dolente in mezzo ai suoi carnefici, un’immagine che si propone frontalmente in maniera scultorea, esulando da qualsiasi tentazione agiografica per imporsi con crudo realismo. Più morbida invece la Madonna con Bambino e Santi, dove si avverte un gioco prospettico, soprattutto nella figura del Bambino, che anticipa la folla di personaggi della Camera degli sposi (vi si avvertono echi della pittura di Giovanni Bellini, del quale Andrea aveva sposato la sorella Nicolosia). Il gusto del classico rivisitato è anche in “Ercole e Anteo”, disegno di scuola mantegnesca, nel notevole quanto raro ritratto virile su  pergamena di Giorgio Schiavone, allievo dello Squarcione, e nel “Mosè”, agile bronzetto di Andrea Briosco detto il Riccio, famoso per le sue creazioni eleganti e raffinate. Con la soave “Madonna col Bambino”, di Cima da Conegliano, siamo invece nella tradizione, quasi un archetipo espressivo che impronta di sé un lungo periodo della storia della pittura.
Cambiamo continente e collezione, il Museum of Fine Arts di Houston, Texas, ed il lascito di Edith Abraham e Percy  Selden Straus, morti nel naufragio del Titanic. Due pregevoli opere italiane del XIV e XV secolo, l’una di scuola senese, l’altra di àmbito fiorentino, avente per tema la Madonna con il Bambino. Entrambe sono messe a confronto con un analogo soggetto facente parte della collezione di Palazzo Barberini, per certe evidenti assonanze stilistiche. In particolare con la prima opera esposta, attribuita a Maestro senese della Madonna Straus, per quell’eleganza formale nonché intrinseca all’opera stessa, il senso come di grazia soffusa sulle figure della Madonna e del Bambino che rimanda alla grande scuola di Simone Martini. Di formazione fiorentina, come già detto, è invece l’altro Maestro della Madonna Straus, allievo di Agnolo Gaddi, che rielabora stilèmi di matrice giottesca.
Tre magnifiche tempere e foglia d’oro su tavola che, nello spirito dell’epoca, esprimono simbolicamente l’armonica fusione dell’aspetto estetico con quello sacrale. “In Gloriam Dei” e, quale corollario, quattro opere del XIV secolo normalmente esposte in sala. Una sorta di compendio stilistico della grande scuola senese è nella “Madonna con Bambino” di Segna di Bonaventura, allievo e nipote di Duccio di Buoninsegna, del quale riprende i modi iconografici bizantineggianti, e nell’altra “Madonna con Bambino” di Niccolò di Segna di Bonaventura, suo figlio ed allievo, il quale ha ben presente la lezione pittorica di Simone Martini e Pietro Lorenzetti. E, ancora, “Madonna con Bambino e Angeli” di pittore umbro che riprende i motivi simbolici interni alle opere su citate (il cardellino tenuto dal piccolo Gesù, tema peraltro sviluppato anche successivamente, vedi Raffaello), e “Madonna con il Bambino in trono, Annunciazione e Santi”, trittico di Simone di Filippo, detto dei “Crocefissi”, di squisita fattura tardo gotica.
“In Gloriam Dei”, appunto.

“La stanza di Mantegna. Capolavori dal Museo Jacquemart-André di Parigi” e “Gotico americano. I Maestri della Madonna Straus”, Gallerie Nazionali di Arte Antica – Palazzo Barberini, fino al 27 gennaio 2019. Da martedì a domenica h.8,30-19, euro 12 intero e 6 ridotto (biglietto valido 10 giorni per Palazzo Barberini e Galleria Corsini).

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