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Le tabernae della Via Nova

L’area del Foro dove scavava Giacomo Boni (a destra della foto).
Foto d’epoca del sepolcreto scavato da Giacomo Boni

L’area di scavo di Giacomo Boni (a destra nella foto)

                                                                   Le tabernae della Via Nova

di Antonio Mazza

  In tempi protostorici l’area che poi sarà occupata dal Foro Romano era adibita a sepolcreto, una grande necropoli che poi,  bonificata, in età repubblicana e imperiale diverrà il cuore pulsante dell’Urbe. Qui i secoli si sono sovrapposti, ognuno lasciando testimonianze che, con la decadenza dell’impero, le invasioni barbariche, la rovina dei monumenti, i marmi finiti nelle calcare medioevali, si sono progressivamente interrate. E fu Campo Vaccino, il luogo di pascolo e di passaggio degli armenti fra resti di templi, statue mutile, ruderi affioranti, un paesaggio pittoresco e malinconico che ammaliava i viaggiatori del Grand Tour, in particolare quelli abili con il pennello (William Turner ci ha lasciato numerose vedute di Campo Vaccino, magnifiche quanto struggenti).

La necropoli protostorica.

La necropoli protostorica.

  Si è dunque, nel tempo, prodotta una complessa stratificazione dell’area, che venne studiata da Winckelmann e, successivamente, iniziarono gli scavi in periodo napoleonico con Carlo Fea. Fu poi la volta, a fine ‘800, di Rodolfo Lanciani  e Giacomo Boni che liberarono tutta la superficie, in particolare Boni, del quale è vicino il centenario della morte (1925), che applicò il metodo dello scavo stratigrafico. E questo significa, insieme a pezzi di pregio, riportare alla luce anche reperti di scarso valore sul piano diciamo così spettacolare, di fruizione visiva, e tuttavia importanti come testimonianza storica. Ovvero tramite frammenti sparsi, quasi anonimi, è possibile ricostruire la vita quotidiana di un periodo storico della Roma antica. Ed è appunto il senso di “Depositi in mostra”, un percorso che si snoda fra le tabernae della Via Nova dove sono mostrati reperti finora confinati nel chiuso dei magazzini.

Antefissa con Sileno, fase arcaica, Vi secolo a.C.

Antefissa con Sileno, fase arcaica, VI secolo a.C.

  E’ proprio il materiale recuperato da Giacomo Boni quello esposto nelle tre tabernae che narrano di tre momenti diversi: l’epoca protostorica, dei villaggi sul Palatino, la fase repubblicana e imperiale, il periodo tardo antico. I locali fanno parte del complesso della Domus Tiberiana, attrezzati con vetrine e, in uno di essi, figura una postazione pc per ricerche di tipo storico. E vediamo subito, nella prima taberna, i sepolcreti con scheletri e vasellame, databili intorno al X secolo a.C. Età del Ferro. Molto interessante il contenuto della seconda taberna, dove accanto al consueto materiale fittile che abbonda nei musei figurano pezzi notevoli. In primis una splendida antefissa con volto di Sileno del periodo arcaico, VI a.C. poi un calamaio in terracotta, uno zufolo, una deliziosa bocca di fontana di età repubblicana, quando si attingeva l’acqua dai pozzi,  finché la costruzione del primo acquedotto, nel 312 a.C., rese inutile captarle dai pozzi.

Bocchetta di fontana. Età repubblicana.

Bocchetta di fontana. Età repubblicana.

  Terza taberna, età tardo antica, con frammenti che recano in sé una data precisa, come il conglomerato di monete fuse nella pietra che testimoniano dell’incendio della Basilica Emilia, 283 d.C. E un’altra preziosa testimonianza viene dalla vetrina con gli strumenti in metallo, tipici di una fucina di fabbro che forse, nell’alto medio evo, si installò fra le rovine (come d’altronde succedeva in tutta Roma che, dopo gli assedi e i saccheggi dei Goti e dei Vandali, era ridotta ad un villaggio di poche migliaia di abitanti). Altri particolari si aggiungono, come dei modellini d’epoca della Fonte di Giuturna, scavata da Giacomo Boni, vasellame dell’èra di mezzo e ceramica invetriata (il che fa supporre una fabbrica in loco), con una curiosa brocca ornata da un disegno fallico.

Materiale vario.

Materiale vario.

  Dunque tanti tasselli che ricompongono un tempo lontano e che, a saperli leggere ed ascoltare, narrano di una vita nel quotidiano forse non tanto dissimile dalla nostra. Bene ha detto Alfonsina Russo, Direttrice del Parco, quando ha affermato che  “non volevamo lasciare invisibili reperti di grande valore” ed è vero perché, contestualizzandoli, da ognuno è come si sprigionasse il ritratto umano del nostro passato SPQR.

Calamaio di età repubblicana e imperiale.

Calamaio di età repubblicana e imperiale.

“Depositi in mostra” a cura dell’archeologa Roberta Alteri, al Parco Archeologico del Colosseo, fino al mese di luglio con tre turni di visita ogni venerdì (h.15,30, 16,30, 17,30). Le visite guidate, con l’intento di dare un quadro più completo, proseguono nel Museo del Foro Romano, all’interno del chiostro di Santa Francesca Romana. L’accesso è libero previo acquisto del biglietto d’ingresso. Per informazioni www.parcocolosseo.it

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