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Mimì Quilici Buzzacchi alla GAM

01-gli-obelischi-1950Un’incisione firmata “Mimì 1950”, intitolata “Obelischi” e raffigurante via della Conciliazione immersa in un’atmosfera vagamente inquietante, mi ha particolarmente colpito lo scorso luglio nell’ambito della mostra dedicata alla Spina di Borgo nei Musei Capitolini. Lì per lì non avevo fatto caso al nome, ma ora ho ritrovato la stessa incisione nella mostra “Mimì Quilici Buzzacchi. Tra segno e colore”, ospitata nella Galleria d’arte moderna di Roma (in via Crispi) fino al 27 novembre 2016, e ho scoperto così che l’artista (nata Emma Buzzacchi, 1903-1990), nota soprattutto per le sue opere grafiche, usò anche pennelli e colori nell’arco di una lunga vita che abbraccia buona parte del Novecento.

Autodidatta, Mimì lavorò incessantemente in un continuo dialogo con i protagonisti della cultura del suo tempo, a partire da Filippo De Pisis, che fu tra i primi a coglierne le qualità. La sua prima città d’elezione fu Ferrara, dove strinse amicizia con Achille Funi, Tato, Carlo Socrate e molti altri, insieme al marito Nello Quilici, direttore del Corriere Padano. Già a partire dagli anni Trenta partecipò alle più importanti rassegne espositive, tra cui le Biennali di Venezia e le Quadriennali di Roma, e con Funi e altri artisti dell’officina ferrarese partecipò al progetto decorativo degli edifici costruiti in Libia durante il governatorato di Italo Balbo, realizzando un affresco nella chiesa del Villaggio Corradini (1938-40). Scomparso il marito il 28 giugno 1940 proprio in Libia, nel cielo di Tobruk, nell’abbattimento dello stesso aereo su cui viaggiava Italo Balbo, si ritrovò vedova con i figli Folco (il futuro documentarista di oceani e paesi lontani) e Vieri, ma non si scoraggiò e si trasferì dapprima tra i monti della Val Brembana e, dopo la fine della guerra, a Roma, dove ebbe una seconda e lunga stagione artistica.

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Nel catalogo della mostra (Palombi Editori), Folco Quilici rievoca gli anni dello “studio” ferrarese della madre, dove poteva rimanere quanto voleva: “E così come d’estate mi stupiva vedere come riuscisse a cogliere luci e colori del paesaggio, nei mesi invernali seguivo con emozione la sua fatica di xilografa, vedevo le proporzioni di un disegno venir riportate sulla tavola di legno di bosso; la fatica e la tensione di incidere quella superficie piana e lucida”. Vieri Quilici, nello stesso catalogo, ci parla invece della casa di Roma: “un appartamento che si apre sulla vista di Monte Mario e guarda dall’alto le sponde verdi del fiume”.

Curata da Federica Pirani, Gloria Raimondi e Maria Catalano, l’esposizione è suddivisa in tre sezioni con una selezione di circa 50 opere, sufficienti per avere un quadro sintetico della sua voglia di sperimentare il segno e il colore. Nella prima sala troviamo le opere pittoriche disposte in ordine cronologico, a partire dalle prime piccole tavole dipinte ad olio, raffiguranti per lo più paesaggi, come il poetico “I due capanni”, del 1923, nature morte come “Le melograne” del 1926,  ma anche oli su tela come “Magnolie” e alcuni ritratti di famiglia, tra cui il “Ritratto di Nello Quilici con il giornale e castello” del 1930, o “Folco al mare” del 1942. A questa prima serie di dipinti di ambientazione adriatica e ferrarese, seguono i dipinti romani, dalle pennellate via via più larghe e decise, in una progressiva tendenza all’astrazione, come “Bucatino (con il Tevere biondo)” del 1955, Sole su Monte Mario (Sole d’agosto) del 1957 o “Il bianco inverno del 1963”. È del 1980 un olio su tavola che ci riporta a Ferrara,“Castello al neon”, decisamente suggestivo con quei colori notturni così diversi dal rosso mattone tipico della città estense.

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La seconda sala raccoglie varie xilografie, per lo più di soggetto architettonico, da “Ferrara. Torri di Ateste“ del 1934, esposta alla V Triennale d’arte di Milano, a “Leptis Magna. Foro Nuovo Severiano” del 1938, dalla splendida “Leggenda ferrarese” del 1943, esposta alla III Quadriennale di Roma, alla “Lungastoria” del 1947, un lungo panorama romano che racchiude anche la cupola di San Pietro e l’Osservatorio di Monte Mario, con in primo piano il Tevere, per il quale l’artista nutriva una sorta di predilezione, probabilmente per il suo lento scorrere che può essere visto come metafora del divenire. Sono spettacolari le copertine a colori della “Rivista di Ferrara” degli anni Trenta, che ricordano in parte l’aeropittura futurista, e futurista era in effetti l’amico Tato, che con lei dipinse anche lavori a quattro mani, e le cui opere troviamo nella terza sala, dedicata a “Gli amici di Mimì”, insieme a quelle di Socrate e di Funi, di De Pisis e di Virgilio Guidi.

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MIMÌ QUILICI BUZZACCHI. SEGNO E COLORE

 Galleria d’Arte Moderna di Roma

Via Francesco Crispi, 24

 dal 22 settembre al 27 novembre 2016

 Da martedì a domenica ore 10.00 – 18.30

L’ingresso è consentito fino a mezz’ora prima dell’orario di chiusura; lunedì chiuso

 Intero € 7,50; Ridotto € 6,50

Biglietto unico comprensivo di ingresso alla Galleria d’Arte Moderna di Roma e alla Mostra. Riduzioni e gratuità per le categorie previste

www.museiincomune.it; www.galleriaartemodernaroma.it; www.zetema.it

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