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‘Ndoki (Mio figlio è un feticcio)

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di Giusy Criscione.

Sono molte le iniziative che cercano di portare alla luce e denunciare antiche credenze e tradizioni tribali, soprattutto africane che riguardano i bambini o le bambine. E’ un tentativo di sensibilizzare l’opinione pubblica. Superstizioni e soprattutto pratiche religiose invalidanti come ad esempio l’infibulazione per le bambine.
‘Ndoki, Cantata per bambini accusati di stregoneria, è un esempio lodevole di questi tentativi di denuncia ma è anche una presa di posizione forte e diretta a difesa di quei bambini che o per superstizione o perché solo più deboli e malati, vengono condannati a morire pur essendo innocenti.
Lo spettacolo è stato presentato in prima assoluta al Parco Della Musica nel quadro del Festival Arte e Scienza. Nato per iniziativa e dal racconto dello scrittore e giornalista Sandro Cappelletto, è accompagnato dalle musiche di Michelangelo Lupone. In scena oltre la voce narrante dell’autore, i solisti Silvia Schiavoni, mezzosoprano, Michele Rabbia, multi percusioni, i cori di differenti età: il coro di voci bianche della Schola Cantorum e quello giovanile della Cantoria dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia.A completamento dell’esecuzione, proiezioni video ideate da Giovanni Stella.
Già nell’incipit del narrante è contenuta la dolente storia del bambino Jonas, condannato a morire innocente :” Fa troppo male parlarne. Accettare l’idea, conoscerne le conseguenze. Ma questo progetto non è un’inchiesta giornalistica. E’ una cantata per loro”
Gli ‘Ndoki, sono dunque all’interno di queste società chiuse i bambini più deboli, coloro che sono rimasti orfani o colpiti da malattie o qualche handicap che diventano un peso per la comunità. Accusandoli di stregoneria, diventano colpevoli  ed è così possibile liberarsene, trovando un capro espiatorio alle difficoltà di vita nella quale versano gli abitanti dei villaggi al centro di guerre e carestie.  Il racconto teso e drammatico è intervallato dai strazianti lamenti dei bambini e del mezzo soprano. La voce narrante è inframezzata dalle vocalità e dall’accompagnamento musicale che creano l’atmosfera e restituiscono  e l’ambiente nel quale il dramma si compie. Versi di animali, lo stormire delle fronde di una foresta immaginaria, dove Jonas tenta di scappare , le urla e i lamenti soffocati è il linguaggio utilizzato per descrivere e raccontare la disperazione e il dramma catartico, vissuto con patos e rassegnazione. La musica procede per contrasti e alternanze, vibranti, cupe e striscianti, i silenzi si alternano ai rumori e al canto sommesso dei bambini. “Sono loro le voci che queste piccole vittime non hanno mai potuto avere, per rivendicare il loro diritto alla vita. Che questo nostro lavoro vuole, con dolce prepotenza, difendere, come una carezza donata alla loro memoria, come uno schiaffo duro sul volto di chi li tormenta”.

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Bravissimi gli interpreti, dal mezzosoprano che passa da toni pacati soffocati e bisbigliati ad acuti e urla disumani, di difficile esecuzione ma che Silvia Schiavoni rende credibili e drammatici. Le percussioni, aiutate dalla tecnologia più avanzata, duettano con il resto del coro, fraseggiando e inserendosi di volta in volta per completare l’atmosfera o sottolineare un evento. I bambini e i ragazzi molto presenti ed efficaci svolgono il difficile compito di rendere di volta in volta gli  stati d’animo con  la preghiera, la sofferenza e il canto liberatorio.

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