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Quel Santo di Assisi

"San Francesco in estasi" (1600-1605 ca.), di Orazio Gentileschi. Courtesy Benappi Fine Art.

“San Francesco in estasi” (1600-1605 ca.), di Orazio Gentileschi.
Courtesy Benappi Fine Art.

                                           Quel Santo di Assisi

di Antonio Mazza

  “Di statura piuttosto piccola, testa regolare e rotonda, volto un po’ ovale e proteso, fronte piana e piccola, occhi neri, di misura normale”. Così Tomaso da Celano nel suo “San Francesco. Vita prima”, con una descrizione minuziosa (“labbra piccole e sottili, barba nera e rada”) e la conclusione che completa il ritratto del Santo di Ascesi (“veste ruvida, sonno brevissimo e mano generosissima”). Un ritratto umano che trova il suo corrispettivo pittorico nel bel quadro di Orazio Gentileschi, ospite d’onore nella mostra in corso a Palazzo Barberini: “Orazio Gentileschi e l’immagine di San Francesco. La nascita del caravaggismo a Roma”, a cura di Giuseppe Porzio e Yuri Primarosa.

"San Francesco in meditazione" (1606 ca.), Caravaggio.

“San Francesco in meditazione” (1606 ca.), Caravaggio.

  Una scoperta recente e di notevole interesse, messa a confronto con altri lavori di eguale soggetto, ovvero cinque opere tutte da ammirare non solo per la loro bellezza estetica ma per il loro linguaggio innovativo che inaugura uno stile: il caravaggismo, appunto. Roma ne è la culla e proprio le suggestioni, di segno e di forma, che il Gentileschi ricavò dalla pittura del giovane Merisi, ne documentano i primi passi. Orazio si liberò gradualmente dai suoi schemi tardo manieristi, approdando ad un naturalismo però più pacato di quello del Caravaggio, come si può constatare da “San Francesco in estasi”, dove il Santo appare raccolto in meditazione.

"San Francesco sorretto da un angelo" (1610-1612), di Orazio Gentileschi.

“San Francesco sorretto da un angelo” (1610-1612), di Orazio Gentileschi.

  Una figura dall’espressione intensa e, dal punto di vista tecnico, precisa nel disegno del panneggio e nei particolari, come il cordone del saio. Alla stregua di altre due tele del Gentileschi poste ai lati, entrambe sullo stesso tema, “San Francesco sorretto da un angelo”, l’una prestata dal Museo del Prado e l’altra in collezione (lo sono tutte salvo il Santo in estasi, della Benappy Fine Art). Ed entrambe appaiono di un dolente intimismo che sottintende tutta l’umanità di Francesco, un po’ di maniera la tela del Prado, più drammatica, perché suggerisce il deliquio mistico del Santo, quella Barberini. Di  certo una delle opere fra le più intense di Orazio Gentileschi e non è sbagliato definirla un capolavoro (notare la mano di Francesco, dove risaltano le stimmate, la sua assoluta perfezione). E il raffronto prosegue con il Caravaggio del “San Francesco in meditazione”, il cui drammatico realismo è accentuato dal denso gioco di chiaroscuri, e Ludovico Cardi detto il Cigoli, con un intenso e macerato “San Francesco in preghiera”.

"San Francesco in preghiera" (1599 ca.), di Ludovico Cardi detto il Cigoli.

“San Francesco in preghiera” (1599 ca.), di Ludovico Cardi detto il Cigoli.

  Ma c’è una motivazione più sottilmente speculativa che guida i caravaggeschi nella rappresentazione del Santo di Ascesi. E’ il senso della “vanitas” filtrato dalle pratiche religiose dei frati cappuccini, dove la figura di Francesco assurge a simbolo di una ricerca spirituale che va oltre le fallaci apparenze terrene. Un impulso ascetico che, derivato anche dalla Controriforma, si riflette nel linguaggio artistico, ora più attento ad una purezza di contenuti non meno che di forma (pensiamo, per restare in tema di creatività, alle severe polifonie di Palestrina). Qui il richiamo viene dal saio del frate Mattia Bellintani da Salò, predicatore cappuccino, la cui essenzialità monacale è corredata dalla “disciplina”, un flagello con quattro stringhe di cuoio usato in funzione penitenziale. E la gigantografia all’ingresso della mostra, che riprende uno scorcio della celebre cripta dei frati cappuccini in via Veneto, ripropone un clima dove la religiosità spesso sconfinava nel gusto del macabro, sia pure con fini edificanti (la “vanitas”).

Saio del frate Mattia Bellentani, predicatore cappuccino, 1595-1610, Milano, Archivio Provinciale dei Frati Minori Cappuccini. Foto di Alberto Novelli.

Saio del frate Mattia Bellentani, predicatore cappuccino, 1595-1610, Milano, Archivio Provinciale dei Frati Minori Cappuccini.
Foto di Alberto Novelli.

  Una curiosità è poi il librone con gli atti del processo intentato nel 1603 da Giovanni Baglione contro Caravaggio, Orazio Gentileschi, Onorio Longhi e Filippo Trisegni con oggetto un indumento conventuale. “Se bene è mandato a casa mia per una veste da cappuccino che gliene imprestai et un par d’ale, che la veste deve essere da diece giorni che me la remandò a casa”. La veste è con molta probabilità il saio che figura, con il suo caratteristico copricapo a punta (il “par d’ale”), nell’opera di Orazio Gentileschi, pittore toscano che a Roma, nell’incontro con un giovane scapestrato ma geniale, a nome Michelangelo Merisi, sperimentò una nuova forma di fare pittura.

La cripta dei frati cappuccini a via Veneto, Roma. Collezione privata, courtesy Fondazione Listri per le Arti Visive, Firenze.

La cripta dei frati cappuccini a via Veneto, Roma.
Collezione privata, courtesy Fondazione Listri per le Arti Visive, Firenze.

“Orazio Gentileschi e l’immagine di San Francesco. La nascita del caravaggismo a Roma” alla Galleria Nazionale di Arte Antica di Palazzo Barberini fino al 10 aprile. Da martedì a domenica h.10-18, Biglietto euro 12 intero, mostra + Pasolini euro 15. Prenotazione consigliata nei wwkend e festivi, per informazioni www.barberinicors

ini.org

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