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Tutto ebbe inizio in camera da letto

VSOE-ACC-CAB-06Ma la bella Rosin non c’era.

Parlo del treno delle meraviglie, il mitico Orient Express, che mi è venuto in mente mentre viaggiavo, in piedi su un trenino locale che da Reggio di Calabria Centrale mi doveva portare a Palizzi, distante meno di cinquanta chilometri. Dire che è stato un incubo è poco, ma non saprei trovare il termine giusto per dire che ho viaggiato in piedi, pressato, spintonato e quasi sollevato da terra da una marea umana assatanata e furibonda. Mi sono, poi, ritrovato in un angolino a ridosso del wc e lì ho trovato l’ultimo centimetro quadrato di spazio disponibile. Placata l’ansia, la rabbia e la stanchezza, ho deciso di staccare la spina e di estraniarmi da quel girone dantesco e come per incanto la fantasia, assai irrequieta nei momenti topici della mia giornata, dove è andata ad approdare? Su un treno d’altri tempi. Nientepopodimeno che … Scopritelo voi!

La straordinaria fortuna del mitico treno internazionale del lusso e degli intrighi di fine ‘800, tanto caro ad Agatha Christi, fu segnata da un passaggio non privo di risvolti che sfiorano l’incidente diplomatico, ma anche il poco istituzionale pettegolezzo.   In una tarda mattina di febbraio del 1857, il re Vittorio Emanuele II e Camillo Benso Conte di Cavour ebbero uno scambio di vedute insolitamente vivace, uno di quelli che nel gergo comune verrebbe definito litigio. Cosa era successo tra Sua Maestà ed il suo Primo Ministro? Il Conte si era presentato a Palazzo per tempo per non mancare all’appuntamento che il Re aveva fissato all’ambasciatore di Francia, inviato da Sua Maestà l’Imperatore Napoleone III per discutere dello stato di avanzamento dei lavori della galleria del Fréjus e Re Vittorio, in grave ritardo sull’ora fissata, si dimostrò poco propenso a tollerare la collera mal repressa del Conte. I due cominciarono a parlare e a discutere su quello che appariva a tutti gli effetti uno sgarbo all’Imperatore, oltre che al suo ambasciatore, e siccome l’insolita concitazione del Conte avrebbe potuto spingerlo ad alzare ulteriormente il tono della voce, per evitare che orecchie indiscrete potessero ascoltare la conversazione, il Re propose di ritirarsi nella sua stanza per concordare la linea da seguire nell’incontro con l’ambasciatore di Francia. “Tanto più che lei, signor conte, ha tirato fuori una voce piuttosto stentorea”, aggiunse con una punta di malignità. Ciò detto, il Re si alzò di scatto e scomparve, non prima di aver assicurato all’accigliato Camillo Cavour che sarebbe ritornato subito. Trascorse un buon quarto d’ora e del Re nessuna traccia. Il Conte Camillo adesso appariva calmo e rassegnato, non così Nigra, anch’egli presente all’incontro, che era inquieto, ed anche preoccupato, per l’irriguardoso trattamento che l’ambasciatore stava ricevendo. “Ma dov’è andata Sua Maestà?” “Caro Nigra”, gli rispose ironicamente Cavour, “lei è un ingenuo, per giunta non informato su quel che di più importante succede nel regno. Lei non sa che il Re si è portato appresso la bella Rosin per farla assistere ai suoi trionfi militari. Il Re tiene moltissimo all’ammirazione della sua amica per le sue gesta venatorie e, ancor più, per quelle guerriere. Intanto, adesso, è evidentemente corso da lei, che forse è ancora a letto, a dirle di spicciarsi e di sgomberare la stanza, dove dobbiamo andare noi. Ha capito, adesso, caro Nigra?” aggiunse Cavour, un po’ compiaciuto per le allusioni che gli erano uscite di bocca, non propriamente sottili e pericolosamente prossime al pettegolezzo. Il re ricomparve con un che di sfuggente e di frettoloso ed il terzetto andò a rintanarsi nella stanza del sovrano dove aleggiava ancora il cattivo profumo di violetta di madama. “Ma cos’è questa puzza?” Cavour l’aveva buttata lì portandosi platealmente la mano al naso, ma il re finse di non aver sentito, tanto le occasioni per litigare non sarebbero mancate. Ed infatti non mancarono, anzi, ne tirò fuori subito una che mandò in bestia il signor Conte. “Signor Conte, lo sa che già la sera di Solferino Napoleone, reduce da una visita al campo di battaglia, era letteralmente disfatto tanto l’avevano impressionato i cumuli paurosi di cadaveri ed i lamenti dei feriti che invocavano aiuto e gridavano “mamma”? Camillo Cavour non aveva mai digerito il fatto che per convincere Napoleone III ad intervenire a fianco dell’esercito piemontese contro l’Austria era stato costretto a chiedere alla contessa di Castiglione di andare a Parigi per “ammorbidire” l’imperatore “con ogni mezzo a sua disposizione”. “Con ogni mezzo, caro cugino?” chiese soavemente la scaltra ed ambiziosa Virginia. “Si, con ogni mezzo, cara cugina!” La contessa non si risparmiò e la missione a Parigi fu coronata da successo. Cavour guardò Re Vittorio con durezza e con malcelata acredine, poi con un sorrisetto tiratissimo esclamò: “Napoleone il Grande non avrebbe battuto ciglio, ma questo nostro, ed ha ragione Victor Hugo, è Napoleone il piccolo, anzi, il piccolissimo”. “Vediamo le carte e non facciamo attendere oltre l’ambasciatore”, troncò il re visibilmente irritato.

Cosa c’entrano Vittorio Emanuele II, Cavour e l’Ambasciatore di Francia con i treni di lusso che allietarono a modo loro diversi decenni della vecchia Europa a cavallo di due secoli? C’entrano e vi dirò perché. L’incontro di quella livida mattina di febbraio del 1857 con l’Ambasciatore di Francia riguardava il progetto per l’apertura della galleria del Frejus, avvenuta, poi, nel 1871, due anni dopo il taglio dell’istmo di Suez. Il progetto stava tanto a cuore alla Francia, sia per gli indubbi vantaggi che le derivavano per i suoi traffici, sia per la sua riconosciuta sensibilità verso tutto ciò che fa “grandeur”, ma ancora di più stava a cuore all’Inghilterra, perché la nuova galleria sarebbe stata la chiave di volta per il successo immediato dell’India Mail, il favoloso treno da noi chiamato, non so perché, la “Valigia delle Indie”. Da quel momento, infatti, l’India fu raggiungibile dall’Inghilterra in soli venti giorni di viaggio, anziché i tre mesi del passato. L’era dei grandi treni di lusso che congiungevano città lontanissime tra loro era cominciata.

La Valigia delle Indie, il predecessore dell’Orient Express, era un treno di lusso settimanale e come tale non poteva che trasportare persone che nel lusso vivevano e, forse, vi si annoiavano. Molte di queste povere anime che non ne potevano più della caccia alla volpe nei boschi del Kent e del Sussex mentre le loro signore trascorrevano interi pomeriggi nei ritrovi di Piccadilly, a Londra, o nelle Orangerie dei Boulevards di Parigi, decidevano di partire per mete assai lontane ed andavano a placare la loro irrequietezza nelle esotiche Porto Said ed Aden, per spingersi, a volte, fino alla misteriosa Bombay.  Proprio sulla “Valigia”, in una sera di ottobre del 1872, cominciò il suo “giro del mondo” Phileas Fogg, lo stravagante personaggio scaturito dalla fantasia di Giulio Verne che ben conosceva l’eccentricità di certi ricchi inglesi che trascorrevano il loro tempo negli esclusivi clubs del West End e della city di Westminster, a ridosso di Buckigam Palace. Cosa fece Phileas Fogg? Dopo l’apertura della galleria del Frejus, lo abbiamo visto, i tempi di percorrenza della “Valigia delle Indie” si erano più che dimezzati ed il Delay Telegraph non perse l’occasione per stimolare la fantasia degli annoiati sudditi di Sua Maestà Britannica. Fu così che Mr Fogg si fece coinvolgere in una incredibile scommessa con altri quattro membri del club. Chi di loro avesse effettuato per primo il giro del mondo in 80 giorni si sarebbe accaparrata la notevole somma di venti mila sterline. Fogg non aveva bisogno di quella somma, ma pur di non darla vinta ai suoi competitors, decise di rinunciare alle sue consolidate abitudini e di partire per la folle avventura. La rinuncia non fu cosa da poco se si considera che il gentiluomo londinese era così metodico da raggiungere il suo club a piedi, sempre con lo stesso numero di passi e sempre costeggiando le stesse ali dei palazzi. Non solo, ma la sua mania per l’immutabilità dei suoi ritmi e delle sue abitudini lo aveva addirittura spinto a licenziare bruscamente il suo cameriere per avergli portato l’acqua per radersi di due gradi più fredda di quella abituale. Mr Frogg è un personaggio letterario, certo, ma riflette alla perfezione le bizzarrie di una certa classe della vecchia Inghilterra vittoriana la quale, ridestatasi dal torpore secolare a causa del “miracolo” della “Valigia delle Indie”, non perse l’occasione di andare alla conquista di nuovi motivi di distrazione. Da allora gli scompartimenti della “Valigia”, odorosi di radica ed abbelliti da ricchissimi velluti cremisi, cominciarono ad accogliere moltitudini di gentlemen in bombetta che sui comodi divani del lussuoso treno perpetuavano i riti dei clubs appena lasciati. Il percorso era vario ed eccitante, ma il paesaggio non interessava molto ai compassati passeggeri. Il tratto sul suolo inglese era brevissimo, da Londra a Dover. Nemmeno il tempo di ammirare le bianche scogliere ed il treno veniva inghiottito dal ferry-boat per l’attraversamento della Manica. A Calais la sosta era brevissima e la potente locomotiva con i suoi tre vagoni–letto ed il bagagliaio presidiato da agenti dell’Intelligence Service, ripartiva subito per Boulogne-Amiens-Parigi. Appena venti minuti di sosta nella capitale francese e la “Valigia” puntava su Digione-Chambéry-Modane. Alla frontiera franco italiana le formalità erano ridotte al minimo e via subito per Torino-Alessandria-Piacenza-Modena-Bologna-Ancona-Foggia-Bari-Brindisi. Cosa facevano, intanto, i passeggeri della “Valigia” e, soprattutto, chi erano? Naturalmente giocavano a bridge, oppure scommettevano sul tempo dell’indomani o sulle corse di cavalli all’ippodromo di Ascot. Qualche volta dissertavano sull’uso di nuove spezie arrivate in Europa dall’India, oppure sugli amori del Principe di Galles e sullo scorbuto dell’ultimo inverno che aveva colpito l’arcivescovo di Canterbury. Insomma, facevano di tutto meno che guardare il paesaggio che scorreva fuori dai finestrini dai quali la vista, per la verità, non era facilitata dalle spesse tendine che filtravano eccessivamente la luce. L’identità dei passeggeri era nota solo ai passeggeri stessi. Vale a dire che sul treno la privacy era sacra ed il personale di bordo non avrebbe rivelato l’identità di questo o di quello nemmeno sotto tortura. Così si diceva, ma forse le cose stavano in maniera assai diversa e tutti sapevano tutto di tutti, ma nulla traspariva e tutti si adeguavano soavemente alla generale messinscena. In ogni caso si sa che tra i viaggiatori molti avevano a che fare con l’India, il gioiello più splendente della corona britannica, e quindi erano alti ufficiali, diplomatici o agenti dell’Intelligence Service. C’erano anche degli inviati speciali del Times o di altri giornali, ma in incognito ed il più delle volte muniti di passaporto falso. Tutta gente che considerava la Torre di Londra il centro dell’universo. Non mancavano nemmeno i dandies ed i detectives dal berretto a scacchi, ma ciò che risultava evidente era la scarsità di signore, quasi che la “Valigia delle Indie” non le avesse distolte affatto dalle loro care abitudini di sempre. Le signore arrivarono più tardi, con l’entrata in esercizio dell’Orient Express, ancora più elegante e più veloce della vecchia “Valigia delle Indie”, peraltro già  superato in funzionalità ed eleganza dai treni di lusso della vecchia Russia. L’Orient Express, il treno più bello e più lussuoso della storia, fece la sua apparizione nel 1883, ma visse penosamente all’ombra della Valigia delle Indie fino alla vigilia della Grande Guerra. quando nel 1914, appunto, con l’addensarsi delle prime turbolenze di guerra, il vecchio India Mail  fece l’ultimo viaggio del suo onorato servizio e riportò a casa il Principe di Galles. Soltanto allora il mondo sembrò accorgersi dell’Orient Express e restò a bocca aperta per la sua stupefacente bellezza. L’erede dell’India Mail divenne a buon diritto il treno di lusso per eccellenza tra il 1920 ed il 1935. In origine anch’esso fu chiamato “La Valigia”, ma il nome non durò a lungo e ben presto per tutti diventò l’Orient Espress, il treno delle meraviglie, fonte di ispirazione della letteratura gialla e di quella rosa, del teatro e del cinema. Il magnifico treno era composto solo di vetture letto e ristorante, ma a nessuno venga in mente di pensare alle carrozze letto dei nostri treni, perché queste, a confronto con quelle, sembrano solo delle miserabili cucce per cani. D’altronde, per coprire i 3134 chilometri di distanza tra Parigi e Costantinopoli, diventata intanto Istanbul, ai passeggeri dovevano essere garantite tutte le comodità e tutte le distrazioni per dare loro l’impressione di trovarsi in un Grand Hotel di lusso in movimento e la Compagnia non tradì le aspettative. Il viaggio cominciava all’insegna del più raffinato gusto francese: fasci di rose a gambo lungo e profumi estasianti per le signore, menu a base di foie gras, di tarte à l’oignon, di scaloppine al Bordeaux, il tutto innaffiato con profumatissimo champagne della Royal Réserve.  E per i signori? Tabacco delle Antille e whisky delle distillerie della vecchia Edimburgo. Già, le signore! L’Orient Espress, al contrario della vecchia “Valigia delle Indie”, era affollato da dame del più esclusivo mondo parigino, ma non mancavano le signore della vecchia Inghilterra, alla ricerca di nuove emozioni, stimolati dai racconti degli aristocratici consorti per i loro trascorsi sulla “Valigia delle Indie”, e non mancavano nemmeno aristocratiche tedesche, austriache e veneziane. Regina incontrastata dell’Orient Express era la donna fatale, altera, diafana, gli occhi perduti nel vuoto ad inseguire i cerchietti di fumo dolciastro che fuoriuscivano lentamente dal lunghissimo bocchino d’ambra. Ammantata di piume di struzzo vagava, solitaria e scostante, tra i tavoli della carrozza ristorante e la tenue luci delle abat-jours dei tavoli impreziositi da tovaglie di Fiandra le conferivano ancor di più un alone di mistero. A volte qualche scompartimento restava chiuso per ore anche di giorno e di tanto in tanto, discretamente e con passo felpato, un cameriere in giacca e guanti bianchi andava a bussare delicatamente alla porta ed attendeva con infinita pazienza che la dama fantasma gli aprisse. La passeggera misteriosa andava ad aprire con il velo che le copriva il volto e nascondeva lo sguardo, ordinava qualcosa e si ritirava nella sua cabina con fare solenne ed estenuato languore. Chi era? Dove andava? Poteva essere chiunque e certamente doveva avere le sue ragioni per non farsi riconoscere. Spionaggio? Possibile Traffici di preziosi e di droghe? Probabile! Rapporti con gli Emiri del deserto? Non esclusi, perché la tratta delle donne bianche era fiorente. Se la dama proseguiva, poi, da Istanbul per Bagdad, il sospetto diventava qualcosa di più di un sospetto! Il lettore potrebbe pensare che queste siano invenzioni, esagerazioni del loro cronista, invece no, perché sull’Orient Express viaggiavano veramente donne così, e così erano molti degli uomini dall’aspetto sospetto i quali, da dietro le spesse lenti affumicate degli occhiali di tartaruga, scrutavano, non visti, tutti e tutto e, soprattutto, non perdevano mai di vista la borsa di pelle, sempre a portata di mano. Insomma, un mondo particolare di fauna umana indefinita tra la quale abbondavano spie autentiche e diplomatici fasulli, signore della nobiltà e dell’aristocrazia più genuina ed avventuriere dai facili costumi in cerca del colpaccio della vita. Non tutti, va detto, erano così, ma molti lo erano davvero.

Il percorso originario del treno non era il più breve, né il più agevole. Infatti, dal 5 giugno 1883, e per ben sei anni, il Train Express d’Orient, questo il suo primo nome, percorse la linea Parigi-Vienna-Budapest-Bucarest. Dalla capitale rumena proseguiva lungo il Danubio fino a Giurgiu dove i passeggeri venivano traghettati su una chiatta fino a Ruschuk, in Bulgaria, e da qui un altro treno li trasportava a Varna sul Mar Nero, da dove una nave dei Lloyds austriaci li portava a Costantinopoli. Dalla partenza da Parigi all’arrivo a Costantinopoli trascorrevano non meno di 81 ore. Nel 1889 il viaggio si accorciò notevolmente perché divenne interamente terrestre in virtù del fatto che in Jugoslavia era stata inaugurata la ferrovia Stalac-Nis e ciò consentiva di abbandonare il vecchio percorso in terra rumena e lo scomodissimo traghettamento sul Danubio a mezzo chiatta. Il vero Orient-Express, però, sorse dopo il traforo del Sempione, aperto fra la Svizzera e l’Italia nel 1906, una delle gallerie più lunghe del mondo con i suoi 19,803 chilometri, ed il percorso definitivo subì un drastico taglio: Francia-Svizzera-Italia-Jugoslavia-Bulgaria-Turchia. L’ingresso in Italia avveniva a Chiasso, per proseguire sulla tratta Milano-Venezia-Trieste con le sue sfavillanti vetture letto e la carrozza ristorante trainate da una potente locomotiva a vapore in grado di raggiungere i 130 chilometri all’ora.

La fama romanzesca dell’Orient Express usciva rafforzata quando sui suoi vagoni accadevano oscuri fatti di sangue. Uno di questi fatti accadde nel 1926. Era il mese di agosto ed un commerciante di fosfati albanese, tale Hasan Xenia, fu trovato morto nella toilette del vagone ristorante. Pugnalato. A Zagabria era ancora vivo e furono molti a testimoniarlo, perché lo avevano visto giocare a bridge con dei connazionali. A Belgrado il treno sostò per un giorno intero, ma dell’assassino nessuna traccia, né allora, né in seguito. La stessa fine fece, sei anni più tardi, una indossatrice francese, ma ancora una volta il delitto restò impunito. Sul treno accadevano anche fatti dai risvolti irresistibilmente comici e a volte anche piccanti. Alla prima categoria appartiene ciò che è capitato al Presidente della Repubblica di Francia, ma i sospetti che anche l’altra categoria ne fosse interessata, non mancano. Il 12 luglio del 1920 Monsieur le Président fu trovato in pigiama alle tre del mattino in aperta campagna, nelle vicinanze di Monfalcone. Il Presidente stava benissimo, in perfetta salute e senza nemmeno un graffio ed alla domanda di come si trovasse là, rispose semplicemente che era caduto dal treno in corsa. Caduto? Le indagini appurarono che in quel tratto l’Orient Express era transitato a più di novanta chilometri orari. Mistero, ma non troppo.

A metà degli anni trenta l’aviazione civile cominciò ad affermarsi con crescente successo ed “il treno delle meraviglie” ne subì il contraccolpo. A poco a poco cominciò a perdere la sua caratteristica di treno di lusso, dal fascino misterioso, e alle principesche vetture letto color bianco-azzurro vennero attaccate, per iniziare, comunissime e volgarissime carrozze di prima classe, poi anche carrozze di seconda classe e fu la fine di un sogno e di una leggenda. I tentativi più recenti di riportare l’Orient Express agli antichi fasti sono state operazioni di stampo prettamente commerciale, volte a sfruttare le corde della nostalgia del bel tempo che fu, ma nell’era delle rapidissime trasvolate intercontinentali con i comodi aerei moderni, è meglio conservare nella memoria il ricordo di quelle irripetibili atmosfere di mistero e di intrighi, tanto care ad Agata Christi, regina del “Treno delle meraviglie”, che nel silenzio ovattato della stanza n. 411 del Pera Palace Hotel di Istanbul, scrisse per noi il suo immortale capolavoro: Assassinio sull’Orient Espress.

6 Commentia“Tutto ebbe inizio in camera da letto”

  1. Davvero splendida questa ricostruzione delle vicende storico-ambientali che videro la nascita del mitico treno, ma le beghe e, forse, l’antipatia reciproca tra il Re e Cavour, che fanno da prologo e da cornice agli eventi dell’epoca, sono irresistibili e sembra di vedere i due guardarsi in cagnesco in quella camera da letto impregnata ancora dal profumaccio della Bella Rosin. Mi sono divertito un mondo a leggere una storia raccontata con brio ed eleganza.

  2. Grande Enzo, ci hai raccontato una storia vera e reale con una vena di irresistibile ironia. La vicenda dell’Orient Express la conoscevo sommariamente, ma non sapevo nulla del suo predecessore e delle tratte che percorreva.
    Non tardare molto a proporci altre cose e non ti fare irretire dall’estate ormai arrivata.

  3. Bene Enzo, questa volta hai fatto , come sempre a meraviglia, lo scrittore storico cronista e ci hai fatto sognare e viaggiare piacevolmente dall’ 8oo al 900 insieme a Principi e Ambasciatori. Complimenti!

  4. Giuseppe Roffi // 24 giugno 2016 a 10:38 // Rispondi

    Davvero godibile questa bella pagina di storia, raccontata con brio ed ironia, cosa rara nei tempi che corrono.
    Il quadretto tra Camillo Cavour e Vittorio Emanuele è eccezionale perchè mette bene in evidenza l’antipatia reciproca dei due personaggi, ma la cosa che più mi ha incuriosito è la vicenda di Momsieur le President trovato scamiciato alle tre di notte in aperta campagna. Mistero nel mistero, ma che sia caduto dal treno, come sostiene lui, è quasi una barzelletta.
    E’ proprio una bellissima ricostruzione quella che ho letto, condita con quel pizzico di umorismo o, meglio, di ironia, che è diventata merce rara nelle cronache d’oggi dì.

  5. Dopo tanti “pezzi” a sfondo politico , di attualità o a carattere nostalgico stavolta Enzo ci propone un articolo diverso, di pura evasione. Posso dire che siamo stati fortunati, forse è stato pensato prima delle votazioni per il sindaco di Roma e sicuramente prima del referendum sulla “brexit”. Evviva, ci ha dato modo di non stare tanto a pensare sull’incalzare dei fatti contemporanei. Felice momento di relax in vista delle vacanze.

  6. Giancarlo // 3 luglio 2016 a 6:15 // Rispondi

    Interessante e avvincente: si fa leggere in un boccone !

    I viaggi in treno poi mi hanno sempre affascinato e leggere questo pezzo mi ha incoraggiato a fare progetti… dov’e’ la biglietteria?

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