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Udite Udite!

untitledTenersi quotidianamente informati sulle faccende del mondo, belle o brutte che siano, per la verità più brutte che belle, aiuta a mantenere in esercizio le rotelline cerebrali ed a partecipare attivamente alle conversazioni con amici e conoscenti, ma l’umore ne risente, eccome se ne risente!

Leggiamo insieme un po’ di titoli di giornali di questo dopo Pasqua e non facciamoci prendere dallo sconforto.

Repubblica del 7 aprile, ma la musica è la stessa in tutti i giorni dell’anno.

  • Kenya: Raid aerei in Somalia;

  • Tikrit: Trovate fosse comuni con 1700 soldati iracheni uccisi;

  • Nigeria: Travestiti da predicatori radunano i fedeli e sparano sulla folla;

  • Lucca: Operaio uccide il suo caporeparto;

Corriere della Sera

  • Trovate fosse comuni di 1700 soldati uccisi dall’Isis;

  • Scippo nella metro: rissa e caos a Barberini

  • Cori razzisti contro baby calciatori di colore;

  • Odevaine: da Mafia Capitale al contratto al Centro Rifugiati

Il Messaggero

  • Caos rifiuti, la metà dei mezzi AMA è fuori uso

  • Taxi, rischio sospensione per undici tassisti violenti

  • Neonato abbandonato in un campo

  • Bimbo di tre anni ammazzato di botte

Su un giornale on line del Sud in prima pagina, nove titoli su quindici, meteo compreso, riguardavano morti ammazzati e traffici indecenti.

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Per allontanare lo sconforto non è che abbiamo a disposizione l’insetticida, tipo quello che adoperiamo contro le zanzare e le formiche, ma qualche rimedio lo possiamo trovare e dove andiamo a cercarlo?

Eh sì, amici lettori, non ci resta che andare a piluccare là, proprio là dove sapete voi, ossia nei Palazzi della politica dove si sbrigano le faccende italiane e, qualche volta, addirittura anche per gli italiani.

E di notizie per trascorrere la giornata senza annoiarsi troppo ce ne sono a tonnellate, merito anche degli ineffabili personaggi che lì siedono (dicono) per volontà della Nazione, ma può capitare che siano là per volontà del Padre, spesso del Padrone, a volte del Padrino e qualche volta persino del popolo.

Per fare gli interessi nostri (dicono), ma che a volte si distraggono e fanno soprattutto i loro.

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Le notizie che arrivano da lassù ci aiutano a coprire l’intero arco della giornata  e non ci annoiano davvero tanta è la varietà, la quantità, la qualità, ma soprattutto la levatura culturale e lo spessore politico dei protagonisti cui le notizie si riferiscono.

L’alternativa, lo abbiamo visto dai titoli dei giornali, sarebbe quella di parlare di morti ammazzati, di stragi degli innocenti e della follia terrificante che dilaga inarrestabile per il pianeta e nessuno sembra in grado di arginarla.

Meglio, molto meglio, distrarci con le cavolate dei nostri teatranti e da dove cominciamo?

Naturalmente cominciamo da quel baffetto da sparviero di Antonio Razzi, star del giorno che la sa lunga su come distogliere l’attenzione del contribuente italiano dal suo imbarazzante bagaglio politico e della inutilità della sua presenza in Parlamento.

Meglio avrebbe fatto, don Antonio, ad assecondare la vocazione di cantante d’osteria d’altri tempi perché, a giudicare dalla sua più recente esibizione al microfono, il materiale scurrile e grassoccio non gli manca.

La platea lo galvanizza e lo esalta ed è per questo che a pasquetta non ha voluto privare il suo popolo gaudente, sparso sui prati in fiore a gozzovigliare con fava e pecorino, dell’augurio più sincero di

“Buona pascuetta”

Discussione sul Decreto Legge Salvaroma

Senatore, senatore! Ma la maestra non le ha detto che pasquetta si scrive con la q di quadro e non con la c di, di …di ca…so?

Via, torni a studiare, ma prima liberi la poltrona, restituisca agli italiani il malloppetto intascato e la smetta di cantare canzonacce.

Non vorrà mica imitare il presidentissimo della Sampdoria che si strugge d’amore cantando per il suo allenatore serbo: “Resta cu mme!”?

Baffino D’Alema è incavolato nero.

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Non perché i posti a Montecitorio siano al completo e, per giunta, occupati da parvenu senza pedigree, mentre lui è rimasto a casa. Non è incavolato nemmeno perché Matteo se ne infischia delle intemperanze di quegli irriducibili nostalgici del suo partito, da lui forse ispirati ed istigati, che si attardano a fare i comunisti duri e puri, fuori tempo massimo.

Robetta per principianti, quisquilie e pinzillacchere, direbbe Totò!

No, il “lider maximo” è incacchiato perché il suo vino, prodotto in quel paradiso terrestre che è la tenuta della Madelaine, sette ettari tra Narni e Otricoli, è finito sulla bocca di tutti, ma non nella bocca di tutti.

Questa è lesa maestà bella e buona, altroché!

Ma come si permettono di infangare il nome di uno che pilotava l’Ikarus con la maestria del Capitano Nemo e che avrebbe potuto dare lezioni di navigazione a quello sciagurato di Schettino.

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Se non avesse avuto l’impiccetto di quelle intercettazioni in cui qualcuno parlava del suo vino, ma non per decantarlo, avrebbe potuto dare anche una mano a quei ragazzi così impegnati a far vedere i sorci verdi a Renzi.

Poveretti, quanto hanno da fare! Uno deve portare i pargoli allo zoo, un altro è occupato in qualcosa in terra elvetica, una garbata e pia signora, più bella che brava secondo i parametri berlusconiani, deve vigilare sulla ribollita per non scuocerla ed un giovanotto di bell’aspetto perde molto tempo a sistemarsi il biondo ciuffo prima di presentarsi davanti alle telecamere per sparare ad alzo zero sul troppo garrulo Matteo fiorentino.

E so’ ragazzi, via!

E un accenno a Silvio non lo facciamo?

Certo che lo facciamo, come potremmo non farlo proprio adesso che il suo giocattolo s’è rotto ed il Silvione è in ambasce?

S’è rotto il giocattolo e si è rotto anche il giocattolaio. Per il tradimento delle sue creature, un tempo amate più di Dudù.

Che ingrate!

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Lasciamo perdere Angelino, sorvoliamo su Cicchitto e Schifani e sorvoliamo pure sulle pene che gli sta procurando quel ragazzaccio di Fitto, ma com’è possibile che gli abbia voltato le spalle persino quel pacioccone di Bondi, un tempo così pieno di attenzioni nei suoi confronti, al punto che persino il mite Bonaiuti sembrava esserne geloso!

Ma Bondi, un tempo Ministro dei beni culturali, fa venire alla mente del vostro cronista un fatterello niente male, scovato non molto tempo fa in un angoletto del più letto giornale della Capitale, poco conosciuto, che riguarda un complesso scultoreo di età classica fatto collocare, vai a capire perché, da Berlusconi nel portico d’onore di Palazzo Chigi.

Chi ha il privilegio di varcare il severo portone che affaccia su piazza Colonna, lungo l’ameno porticato può ammirare due statue: una, Venere, nell’atto di coprirsi il seno, l’altra, Marte, con una poco pudica protuberanza inguinale.

Prima dell’arrivo di Silvio Berlusconi a Palazzo Chigi le due divinità erano depositate al museo delle Terme, ma Venere aveva il seno scoperto e Marte era privo degli attributi virili.

Non sappiamo se fu per volontà di Silvio o per decisione del suo architetto di fiducia, tale Catalano, sta di fatto che, trascorsero un paio di settimane ed oplà: a Venere spuntò una mano tesa a coprire l’ignudo seno e Marte poté fare sfoggio dei suoi attributi, senza esclusione alcuna.

Il taglia e cuci costò 70 mila Euro. Indovinate a chi?

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Si racconta di un PD infuriato per l’aggiunta di orpelli pendenti e di mano pudica ai divini rampolli, arricchimenti  che avrebbero mandato in bestia Cesare Brandi e Carlo G. Argan, se fossero stati ancora in vita, ma l’architetto Catalano si giustificò dicendo che il pene aggiunto era … rimovibile.

Rimovibile? Voleva dire che quella protuberanza inguinale poteva essere staccata con governi successivi a guida diversa da quello dell’ex Cavaliere?

E perché mai la mano di Venere non era rimovibile?

Non mi risulta che Bondi abbia mai detto che l’operazione di chirurgia estetica sia stata ideata da Berlusconi, come chiedeva il PD che, però, non si privava dello sfizio di una postilla velenosetta assai assai, la seguente:

“Se Silvio vuole aggiungersi i capelli sulla testa, faccia pure, ma non tocchi i genitali di Marte”.

6 Commentia“Udite Udite!”

  1. Bentornato a lei e al giornale, Dottor Movilia, fa piacere a me che la leggo saltuariamente a causa del poco tempo che il lavoro mi consente, ma mia moglie e mia suocera la seguono da molto tempo e aspettano sempre con curiosità le sue chiacchierate perchè sono fatte con quel pizzico di umorismo che ormai è merce rara.
    La storia delle due statue di Palazzo Chigi ci ha fatto scompisciare dalle risate.Grazie e complimenti per la sua verve e per il suo scoppiettante senso dell’umorismo, composto e garbato.

  2. Gianfranco // 13 aprile 2015 a 9:50 // Rispondi

    Enzo, ma come faremmo senza di te? Hai citato Totò; se avesse letto lui il tuo eccellente scritto, certamente avrebbe ripetuto il suo celebre “ma mi faccia il piacere!!!” Chiedi dove poter volgere lo sguardo per non incorrere in tante, troppe notizie di disgrazie e/o mascalzonate; posso suggerirti? Ma al Cielo, oltre le nuvole ed il sole, raccomandandoci a Chi da lassù potrebbe vedere e provvedere… ma ci donò il libero arbitrio, quindi neppure Lui può darci una mano se non la accettiamo.
    Sempre grazie al Grande, che continua ad attivare i nostri neuroni a volte appassiti.
    Ciao, Enzo, alla prossima, Gianfranco.

  3. La prima parte dell’articolo è scoraggiante e mette tristezza, ma purtroppo la realtà è quella che è sotto gli occhi di tutti, ma la seconda parte è da fuochi d’artificio, irresistibile e divertente, con passaggi di umorismo allo stato puro, segno che l’autore ha nelle sue corde più la vis comica che quella tragica.
    Per fortuna sua e di chi legge i suoi quadretti.

  4. L’umorismo rinvia al latino «humor» (da cui poi l’inglese «humour»), più precisamente alla dottrina medico-antropologica dei quattro principali temperamenti psicologici (sanguigno, malinconico, collerico, flemmatico). Si parla di «umore» in senso lato quando si produce nell’organismo uno squilibrio al termine del quale un solo umore ha il sopravvento sugli altri, fino al punto di dominare le intere facoltà di un uomo, prendendo possesso dei suoi sentimenti, disposizioni mentali, talenti e spiriti vitali, convogliandoli tutti in una medesima direzione. Ciò vale per il singolo individuo, ma si può facilmente proiettare su un’intera società, qualora questa sia parificata a un organismo.
    Può dunque nascere un conflitto tra l’umore dominante nella società (un clima diffuso, pervasivo, veicolato dai mezzi d’informazione, da cui questo articolo prende lo spunto iniziale) e l’umore dominante invece nell’individuo, il quale ha così occasione e possibilità di prenderne lucidamente coscienza, di reagire, di evolvere da uno stato di passività (che tendenzialmente subisce l’umore dominante) ad un atteggiamento attivo, dinamico, che invece mira a liberarsene, a crearne uno nuovo, di segno contrario.

    L’origine medica dell’umorismo è del tutto svanita nell’accezione dominante del termine, con il quale oggi ci riferiamo a un particolare atteggiamento umano di fronte alla vita, soprattutto quando questa ci appare penosa e insopportabile. Quando diventa irresistibile il desiderio di sopravvivere al dolore almeno sul piano della rappresentazione estetica delle cose. Si potrebbe dire che l’umorismo testimonia un soprassalto spirituale, una sorta di legittima difesa di fronte alle aggressioni del mondo esterno.

    Perché mai dovrei lasciarmi catturare e travolgere dall’«umore dominante», dove l’indice di normalità è costantemente puntato sull’oggettività ineluttabile della morte, della strage, della guerra, della violenza, del sopruso, del malaffare, dell’immoralità? In virtù di un elementare istinto di sopravvivenza, individuale e sociale, ridiamoci almeno sopra. L’atteggiamento umoristico deve però essere perfettamente consapevole del proprio limite, sa che questa forma del ridere è una reazione solo difensiva, sa che la sua vittoria è tragicamente illusoria.

    Questo scritto di Movilia è apprezzabile per la sua ironica leggerezza, ci strappa un sorriso, ma avanza pericolosamente sulla lama di un rasoio, che è anche il suo limite. Se smarrisce la consapevolezza del proprio limite, se lo supera, l’umorismo si espone al paradosso, rischia di alterarsi, di cristallizzarsi nella forma dell’«umore nero». Il riso si tramuta in pianto e il comico muta nel tragico. Sarà allora più difficile distinguere quelle lacrime.
    Il suo paradosso è appunto il rischio di ricadere nel totale pessimismo da cui intendeva in partenza rifuggire, di trasformare la iniziale critica della quotidianità in una apologia rassegnata dell’esistente, di riprecipitare dall’umore individuale (che ci doveva salvare, rivelandosi in realtà illusorio, inutile, perdente) nell’umore sociale (che ci minacciava, rivelandosi però reale, dominate, vincente).

  5. Angela Ronchi // 15 aprile 2015 a 9:21 // Rispondi

    E’ impressionante ciò che si legge sui giornali, e intendo tutti i giornali, ma non si sa se c’è un limite a tutte le nefandezze che accadono, io credo di no.
    Per fortuna che c’è spazio per qualche sorriso a denti stretti e l’Autore, davvero bravo, riesce a strapparcelo con irresistibile ironia non priva di garbo.

  6. Francesco Foti // 18 aprile 2015 a 19:53 // Rispondi

    Ho letto con interesse l’articolo da lei scritto e condivido in pienole sue riflessioni. anche se a dire il vero non mi interesso affatto di politica , ne sono simpatizzante di alcuno schieramento. qualche volta volendomi tenere informato su ciò che accade ho seguito dei dibattiti, e se debbo essere sincero , non ho mai capito chi diceva il vero e chi mentiva , TUTTI a loro dire hanno ragione. Chi promette mari e monti, chi assicura che il peggio è passat0, io personalmente non ci capisco nulla, speriamo che qualche persona veramente sincera , capisca e agisca. Ma esiste?
    distinti saluti
    Francesco foti

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