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Una macchia rossa

La mattina del mercoledì il professor Virzì, nipote di un patriota che  si era unito ai Mille durante l’avanzata del Generale verso Messina, e massone anch’egli con il grado di trentadue, mentre si godeva la rituale passeggiata in centro ebbe quasi una sincope nel vedere una macchia rossa di fiori ai piedi della statua di Garibaldi prospiciente l’ingresso principale di Villa Bellini.

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Temette per un attimo di aver dimenticato, per via dell’età avanzata, qualche ricorrenza importante nella vita dell’eroe dei due mondi, o quantomeno nella vita laica della nazione, come il 20 settembre. E di essersi così giocato il previsto avanzamento che il Maestro Venerabile della locale loggia, affiliata al Grande Oriente d’Italia, gli aveva fatto intravedere al grado massimo di trentatré. Degno coronamento di un’esistenza dedicata all’elevazione culturale della gioventù, nella qualità di rettore del regio Convitto Cutelli, e al mantenimento della fiaccola dell’idea con pochi confratelli anche durante il fascismo, quando tutte le associazioni più o meno segrete erano vietate e le logge chiuse.

Ma a ben guardare, sia lui che i numerosi passanti poterono scorgere un giovane di bassa statura e di scarsa complessione che reggeva a fatica un enorme mazzo di rose rosse, e si girava a destra e a manca, come nell’attesa di qualcosa. Solo il Generale, appoggiato allo sciabolone, sembrava ignorarlo e guardava lontano.

Gigino si era piazzato in quel luogo ben prima dell’ora convenuta. E Franco, Carmelo e Saro  erano anch’essi nel luogo, situati in posizione strategica, sulla prima erta a destra della Villa, pronti ad intervenire.

 Il giorno prima si era svolto un incontro a casa Magliulo. Doveroso e penoso.

<< Allora ?>> si era rivolto ansiosamente a Saro un Gigino stravolto più del solito da ansie e digiuni.

Portava una giacca da camera verde scuro su liso pulloverino di grigio antico,  con pantofole nere che lasciavano intravedere pesanti calze di lana a righe orizzontali gialle e rosse.

Saro la prese alla larga. << Ti manca solo il berretto col giummo>>, lo apostrofò  benevolo con una lieve risata. << Tu non sai che c. che abbiamo avuto !>>.

<<L’hai vista ?>>. << Vista e parlata! All’inizio era molto sulla difensiva…>>

<< Quanti anni ha ?, Cosa studia ?, che cosa le piace ?>> irruppe Gigino senza freni.

<< Seee !, Chi è il padre, quanto guadagna, se ha un fratello campione di lotta greco-romana… Ti devi cal-ma-re.>> disse Saro scandendo le sillabe. << Ho scambiato poche parole, ma essenziali: le ho detto chi sei, quanto sei intelligente e istruito, timido ma…con amici devoti. Tutta la verità le dissi. E poi…>>

<< E poi ?>>

<< E poi le ho strappato un appuntamento ! >>

<< Come un appuntamento ?! E io ?>>

<< Con te, bestia ! Non ha promesso niente, ma accetta di parlarti. Ma fuori zona, per non essere vista. Mercoledì alle 10 sotto la statua di Garibaldi.>>

<< Come mercoledì ? Dopodomani ? Così presto ?>>

<< Così presto ? E che devi fare gli esercizi spirituali prima di incontrare ‘na fimmina ?!>>

<< Mii! Mi devo preparare ! >> fece Gigino scattando in piedi e mettendosi a girare come un pazzo per la stanza. << Un consiglio, ti supplico, dimmi qualche cosa ! >>

 << Porta un bel mazzo di fiori, non badare a spese. E…fatti ‘na bella doccia, che puzzi di naftalina !>> e Saro svanì dietro la porta.

 E così si giunse al giorno fatidico.

Erano quasi le dieci e l’ansia aumentò: da parte di Gigino, che aveva i polsi doloranti dalla fatica, ma anche dei suoi tutori.

 << Calma, carusi, calma. Andrà tutto bene. >> Saro cercava di mostrarsi sereno, ma sentiva la doppia responsabilità della proposta terapeutica e della scelta dell’esecutore. E in cuor suo si rodeva. << Speriamo ca veni, ora arriva, ora arriva>>.

Alle dieci e cinque nulla era successo. << Ora arriva, ora arriva>> disse stavolta a voce alta Saro.

Alle dieci e otto minuti una figura anonima, dall’andatura ondeggiante, uscendo dalla folla dei tavolini dei bar all’angolo di via Umberto, cercò con lo sguardo e poi si diresse verso la statua.

<< Vai, vai! >> incitava tra sè e sè Saro, digrignando i denti e stringendo le labbra.

Contemporaneamente il terzetto cominciava la discesa verso la strada, dapprima cauta e poi sempre più veloce.

<< Signor Magliulo ? Mi manda, mi manda la signorina…la signorina…ah! chidda come ‘a corda di Tarzan, Liana. Boh ! Insomma, pigghiatevi ‘stu messaggio>>. E dalla bocca di Pippo proruppe il meglio della sua sapienza espressiva, secco e sonoro quanto mai.

Gigino s’afflosciò, causa il cedimento strutturale dei suoi arti inferiori, e così pure il bouquet di rose, che lo andò in parte a coprire, come ad un tabuto.

Tre secondi dopo Saro, Franco e Carmelo, giunti alla disperata, lo sollevavano e lo ripulivano dai petali. Muti. Anche Gigino, visti i tre, intuì tutto ma rimase senza parole.

<< Stai bene?>> chiese cautamente Carmelo, ansimando, dopo un minuto di raccoglimento.

<< Siamo stati costretti!>> si giustificò Franco.

<< Malanno fusco, rimedio brusco!>> sentenziò Saro, accennando un sorriso. Ma  gli riuscì malamente.

Gigino li guardò con occhio appannato, poi con odio, specie verso Saro, per il cui destino nella mente obnubilata del ragazzo si profilò l’impiccagione a un sicomoro, come Giuda.

 Donna Rosa venne chiamata lo stesso giorno, con somma urgenza. Non ne poteva più di quelle scale. “ Ma ‘u travagghiu è travagghiu !” sospirò e si predispose alla bisogna, con la solita dedizione.

(Selezione dei brani dal libro di F. Romeo, CATANEIDE, Città del Sole Edizioni, a cura di Enzo Movilia)

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