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Cinema: “L’infinito” di Umberto Contarello

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                                                      L’infinito di Umberto Contarello

di Antonella D’Ambrosio


  Un personaggio scostante per un’opera prima degna di attenzione : “L’infinito” di Umberto Contarello sa dirci qualcosa senza dirla. È un film che non dialoga con lo spettatore, si insinua direttamente nelle sue viscere. La vita di uno sceneggiatore di un certo successo è crollata come in un terremoto e dunque egli sopravvive a fatica nel nulla; eppure, saldati i conteggi e pagati i debiti, scopre che c’è in agguato un futuro anche per lui. Con un felice bianco e nero, uno dei vincoli autoimpostisi, o in grigio, come l’ha chiamato, “per rimanere agganciati allo stile e all’umore della scrittura”, il regista fa penetrare nella vita del protagonista. Con quanta naturalezza Contarello recita la sua parte, come solo i grandissimi attori sanno fare: è la prova che non recita, ma mette in scena se stesso? Umberto, tanto per rendersi più sgradevole, compie gesti desueti: lavarsi le dita nel cocktail potrebbe diventare il must per la prossima ondata di covid. Vorrebbe scioccare il suo pubblico? Allora non ci riesce, il suo fare è magnetico: incolla allo schermo per 91 minuti. È una scelta registica quella di far recitare male Bruno Cariello, che sembra legga, nella parte dell’avvocato del diavolo? Non c’era alcun bisogno, visto che non ruba affatto la scena al magnifico Umberto Contarello: è l’unica volta in cui questa marcata dissonanza, stridendo, toglie armonia a questo gioiello. Ascoltiamo da Contarello a cosa si è ispirato: “Gli influssi, le fonti razionali, chiamiamole così, detti alla rinfusa, sono stati diversi. Il secondo film di Jarmusch “Stranger Than Paradise”: volevo prendere da quel film il rapporto con il tempo, la “durata” delle scene, la sensazione indelebile che fosse un film che non voleva scappare da nulla, ma stare nella sua sottile vena lirica e paziente. Di Kaurismäki l’ingenuità e l’involontaria comicità di come racconta la pesantezza del vivere dei suoi personaggi che danzano sul precipizio del mondo. In particolare la loro assenza di stupore di fronte alle cose assurde su cui inciampano. Poi ho cercato di capire la recitazione assente di Bill Murray, modello inarrivabile…” Considera la “fantasia vincolata” il presupposto per ogni lavoro ben fatto e ambizioso; gli altri due vincoli che si sono imposti per questo riuscito progetto erano il tempo a disposizione per girare un copione, forse leggermente sproporzionato e quello di girare rigidamente senza muovere la macchina da presa, con un unico brevissimo carrello.

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  Certo il neoregista non viene dal nulla: Umberto Contarello, padovano, laureato in filosofia, co-sceneggiatore di Paolo Sorrentino per “This Must Be The Place”, “La grande bellezza” e “Loro”, nel corso di una lunga carriera da sceneggiatore ha scritto per vari autori di rilievo del cinema italiano come Carlo Mazzacurati (“Il toro”, “Vesna va veloce”, “La lingua del Santo”, “La Passione”); Gabriele Salvatores (“Marrakech Express”, “Tutto il mio folle amore”, “Il ritorno di Casanova”); Bernardo Bertolucci (“Io e Te”). Per questo suo primo film da regista, l’amico Paolo Sorrentino ha co-firmato la sceneggiatura e glielo ha anche prodotto insieme a Lorenzo Mieli. Il regista ha cercato e trovato una Roma “gelida e grigia come certe città baltiche e aggredita da scale buie come gallerie. Gli spazi vuoti da sembrare evacuati, come i sentimenti” del protagonista e la fotografia di Daria D’Antonio ben accompagna queste scelte. L’ironia che pervade come un venticello l’intero film amalgama la trama volutamente quasi inesistente e le musiche originali di Danilo Rea sono perfette per mitigare l’orgoglio di Umberto. L’armoniosa voce della cantante romana di origini argentine-rwandesi Tahnee Rodriguez resterà impressa.

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