Nel segno di Giano
Nel segno di Giano
di Antonio Mazza
Alle pendici del Campidoglio sorgeva e sorge tuttora la chiesa dei Santi Luca e Martina, nota fin dal VI secolo col nome di Santa Martina in tribus foris, perché situata al limite dei tre fori, Cesare, Augusto e il Foro Romano. Accanto sorgeva l’Accademia Romana delle Belle Arti che, nel tempo, mutò il nome in Accademia di San Luca, patrono delle arti. Vari papi ne curarono norme e statuti finché, dopo il 1870, divenne Accademia Reale del nuovo stato italiano e, negli anni ’20 del secolo scorso, causa lo sventramento del quartiere alessandrino, si trasferì nel cinquecentesco Palazzo Carpegna, vicino Fontana di Trevi. Qui continuò nella sua prestigiosa attività, curando le arti e gli artisti ed arricchendo le collezioni, che vantano presenze importanti, Raffaello, Bernini, Rubens, Piranesi, Canova, Thorvaldsen, solo per fare qualche nome. Soprattutto donazioni che oggi si arricchiscono di altre 33 magnifiche opere grazie alla generosità di Gian Enzo Sperone, mercante d’arte di fama internazionale.
Opere soprattutto dei secoli XVII-XVIII il cui comun denominatore è la qualità, esposte in tre sale a pianoterra, introdotte (e concluse, come vedremo) da due creazioni d’arte contemporanea. “Crepuscolo degli idoli” (1997), è una installazione dove, su un piedistallo, posano frammenti di ali e giù altri frammenti di una statua, allegoria del mondo classico e lo scorrere del tempo. Quasi a mò di controcanto figurano le rovine del suggestivo “Capriccio architettonico” (1753), di Giovanni Paolo Panini, raffinato vedutista che fu Principe dell’Accademia di San Luca nel 1755 . In mostra anche una bella “Natura morta melodrammatica” (1923), di Filippo De Pisis (1896-1956), di cromatica pastosità. E si entra nella seconda sala, che potremmo definire la sala delle meraviglie per la bellezza delle opere qui esposte, il cui livello denota lo squisito senso artistico di Gian Enzo Sperone.
Da dove cominciare? Guercino, con uno splendido “Sant’Andrea Apostolo” (1655-56), quasi ieratico nella sua nobiltà di stampo classico, poi uno spettacolare “Davide vince Golia” (1680), di Giuseppe Nuvolone, interessante pittore barocco che ha lavorato soprattutto nel nord Italia. Non c‘è un filo da seguire, è bello lasciarsi naufragare in un tale contesto di pittorica armonia, passando da un artista all’altro senza porsi problemi di sorta. Ecco, sulla parete principale, “La morte di Lucrezia” (1590-95), di Palma il Giovane, esponente di rilievo della scuola veneta, e poco discosto “Democrito” (1650-60), di Luca Giordano, rappresentato con particolare turgore figurativo (ha un che del dio Bacco). In basso, oltre al già citato Davide e Golia, “La resurrezione di Cristo” (1563-65), agile opera manierista di Prospero Fontana.
Di rilievo anche i quadri sulle pareti laterali. A cominciare da una notevole “Santa Cecilia” del fiorentino Matteo Rosselli che, vissuto a cavallo di due secoli (1578-1650), ha saputo coniugare in modo sobrio forma classica ed esuberanza barocca. Echi caravaggeschi traspaiono da “Alessandro e Diogene” (1610-16), bel gruppo plastico di Domenico Fiasella detto il Sarzana e “Loth e le figlie” (1640-45), di Giovanni Assereto, grande esponente del barocco genovese (vedi “Cristo deriso” a Palazzo Bianco). E, nel filone dei soggetti a carattere sacro, due versioni della “Maddalena penitente”, quella solitaria di Ludovico Cardi detto il Cigoli, 1598, delicato manierista e grande amico di Galileo Galilei, e quella in compagnia dell’angelo che le porge il teschio di Pietro Liberi, il cui linguaggio barocco ha una forte impronta dinamica (vedi “Diluvio universale” a Bergamo, basilica di Santa Maria Maggiore). Da citare anche l’espressivo “Ritratto di Pierre Subleyras” (1740), pittore molto attivo a Roma, di Marco Benefial, che con l’Accademia di San Luca ebbe sempre un rapporto controverso.
E, ancora, una scenografica “Santa Prassede” (1650-55) di Agostino Mei, allievo di Rutilio Manetti, presente con “Ritratto di gentiluomo” (1630), di grande eleganza formale, il movimentato (e in gusto rococò) “Crasso saccheggia il tempio di Gerusalemme” di Giovanni Antonio Guardi (1699-1760), fratello del più celebre Francesco, un espressivo “San Paolo” (1635-40) di Bernardo Strozzi, e il sorprendente “Ritratto di pittore” di Vittore Ghislandi detto fra Galgario (1655-1743), dove il personaggio raffigurato risalta in un acceso contrasto cromatico. E dai due ariosi “Capricci” di Jean Lemaire (1598-1659), l’uno “con arco trionfale” e l’altro “con colonnato ed edificio circolare”, già nella collezione di Federico Zeri, e il bel “Ritratto di Antonio Canova” (1819), dell’inglese Joe Jackson, si passa nell’ultima sala. Qui, macchia di colore su parete bianca, “Ritratto di Don Salvatore Petito – maschera buffa”, di Francesco Paolo Michetti (1851-1956), noto soprattutto quale cantore delle tradizioni abruzzesi fine ‘800, il mondo arcaico della cultura popolare (le sue famose “processioni”).
Di contro “Costellazione del leone” (1980), di Carlo Maria Mariani (1931-2021), lo spettacolare disegno preparatorio in matita e cartoncino della grande tela ad olio esposta nel 1981 nelle gallerie di Sperone a Roma e New York. E’ una simpatica quanto maliziosa rappresentazione collettiva “all’antica” (tipo giardino dell’Arcadia, per intenderci) dei personaggi del mondo dell’arte fine anni ’70, al centro Mariani in veste accademica e intorno mercanti e storici dell’arte (a latere l’elenco completo). E qui termina questa splendida esposizione realizzata sotto l’Alto patronato del Presidente della Repubblica, visitabile fino ad inizio giugno ma, in autunno, sarà possibile fruirne in modo permanente. Un valore aggiunto alle già notevoli collezioni dell’Accademia di San Luca, merito di Gian Enzo Sperone, antiquario, collezionista ma, soprattutto, “umanista”, cosa sempre più rara oggi.
La Cultura ringrazia.
“Nel segno di Giano. La donazione di Gian Enzo Sperone”, fino al 7 giugno. Da martedì a venerdì h.15-19, sabato h.10-19. Ingresso gratuito. Per informazioni 06 6798848 e 06 6798850, www.accademiadisanluca.it
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