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Venti anni prima.

images Saro si sarebbe dovuto chiamare Lenin. Il padre, fervente comunista in pectore già prima del 25 luglio 1943, quando nell’ottobre di quell’anno era nato il primogenito, si era presentato trionfante all’anagrafe e aveva lanciato quel nome all’impiegato di turno, che non aveva condiviso per nulla l’euforia: <<E che m. è ‘stu Lenini? Per legge non possiamo accettare nomi esotici. Ne scegliesse un altro. E’ vero, cavaliere ?>>.

 Il cavaliere Lo Bianco, apparso sull’uscio del locale retrostante, era il capoufficio facente funzioni dopo la scomparsa del titolare, di cui non si avevano notizie dalla campagna di Russia. Più compìto del suo sottoposto, fece accomodare quello che si presentava come l’apportatore di un caso spinoso in una seggiola scricchiolante, scusandosi per l’ambiente degradato dalla guerra.

Conosciute le generalità e il mestiere dell’interlocutore, che era maestro elementare e come tale possessore di cultura di gran lunga superiore alla media dei frequentatori dell’ufficio, cercò di prenderla alla lontana mentre il suo cervello girava vorticosamente alla ricerca di una soluzione. Che non era facile.

Lo Bianco era infatti preso tra due fuochi. Aspirando da mesi alla promozione di titolare, non poteva permettersi passi falsi: il fascismo con le sue leggi autarchiche non c’era più, ma solo nel Sud. E l’esito della guerra non era così certo, in quell’autunno del ’43. Il Prof. Ardigò sarebbe stato tra i vincitori o tra i vinti?

<<Caro Professore, molte cose sono cambiate. Ma per ora lei sta inciampando nel regio decreto del ’39, vediamo,vediamo…ecco – disse sfogliando un libercolo, segnato da striscette colorate come il vangelo dei preti officianti, che custodiva nell’armadio come una reliquia – l’articolo 72 vieta di imporre nomi ridicoli, o vergognosi ecc. ecc. e comunque nomi stranieri.   Per  le novità ufficiali, fondamentali per noi poveri esecutori, bisognerà aver pazienza, aspettare un po’, altrimenti continueremo ad inciampare!>>

<< Ma quale attendere, mio figlio è nato due giorni fa e ha diritto al suo nome. Un nome degno dell’Italia che dovrà nascere dalle ceneri della dittatura!>>

<< Certo, giusto, ci stiamo rimettendo sulla retta via >>, e nel frattempo scamurriava nel cassetto del tavolino da cui aveva tolto a tempo debito ogni oggetto che potesse ricollegarlo alla sua parentela di cugino carnale di un vice-capo manipolo della Milizia, ma non si sa mai, qualche medaglia, qualche bigliettino compromettente in un angolo remoto…<< ma caro Professore, noi siamo sempre sotto la dittatura delle leggi e delle circolari. E’ arrivato qualcosa, signor Messina ? >>– alzando il tono della voce verso il suo sottoposto…

 << Niente cavaliere, niente arrivò >>  e sottovoce: << E cu m. l’avissi a mandare, di ‘sti tempi ? >>.

<<Ha sentito? Niente circolare, niente novità, purtroppo. Col prossimo figlio, magari…>>.

Il maestro Ardigò era andato via sbattendo la porta per non mettergli le mani addosso.

Ma, dopo una giornata di consultazioni e vociate varie, la famiglia optò per il più nostrano Rosario, che fra l’altro era il nome di uno zio materno scomparso sul fronte greco, e anche la signora tirò un sospiro di sollievo. Rosario. Saro.

(Selezione dei brani dal libro di F. Romeo, CATANEIDE, Città del Sole Edizioni, a cura di Enzo Movilia)

 

2 Commentia“Venti anni prima.”

  1. Gaetano Sgrò // 1 aprile 2014 a 11:32 // Rispondi

    Saro si sarebbe dovuto chiamare Lenin ma mio padre, classe 1927, si sarebbe dovuto chiamare Benito per volontà di mio nonno e del mio bisnonno, allora ancora vivo e dannoso. Solo la ferrea decisione di mia madre, appoggiata dalla sua famiglia e da due loro amici ha potuto evitare di contribuire al dilagare dei Benito, degli Adolfo e dei Galeazzo e alla fine venne fuori un dignitosissimo Giuseppe, per gli amici Peppe e Peppino.
    Il maestro Ardigò forse voleva prendersi una rivincita o si voleva vendicare per qualche bicchiere di olio di ricino, ma quel Lenin era un po’esagerato, diciamo la verità, ed il bimbo se lo sarebbe dovuto portare sul groppone per tutta la vita.

  2. Scamurriava!
    Saranno passati 50 anni da quando ho sentito per l’ultima volta questa parola, ma vivo a Latina da 50 anni, appunto, e non ho avuto molte occasioni per sentirla, o per pronunciarla. Però è splendida e persino musicale.
    Il teatrino al Municipio è irresistibile e l’integerrimo funzionario è degno della commedia dell’arte. Sembra teatro, ma quella era la Sicilia di mio padre e lo è stato per un tratto della mia fanciullezza.

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