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Valmontone e Mattia Preti

  P1030Inutilmente Kesserling aveva schierato i suoi panzer per fermare l’avanzata degli alleati verso Roma. I continui bombardamenti sulla direttrice Velletri-Valmontone avevano fatto breccia e, in breve tempo, le truppe americane entrarono nell’Urbe. A Valmontone, semidistrutta, gli sfollati trovarono asilo nel Palazzo Pamphilj, rimasto quasi indenne. Ogni famiglia si ricavò una nicchia abitativa e le stanze ed i saloni, divisi da un intreccio di tramezzi, ne ospitarono fino a 100. Vi rimasero e vissero qui per anni (ben 135 bambini sono nati fra queste mura) finché, a metà dei ’70, fu apposto un vincolo e, nel decennio successivo, iniziò il recupero dell’intero edificio. Recupero che, grazie ad una perfetta sinergia fra Comune, Regione, Soprintendenza, ha portato al restauro conservativo tuttora in atto.

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  Originariamente feudo dei Conti di Tuscolo nel XIII secolo Valmontone passò agli Sforza, ai Barberini e infine ai Pamphilj e Camillo, che aveva sposato Donna Olimpia Maidalchini (sì, proprio lei, la Pimpaccia di Piazza Navona), fece costruire un palazzo che non fosse solo la classica dimora di campagna ma qualcosa di più. Lo volle sontuoso, arredandolo con mobili preziosi ed un’imponente biblioteca e, per affrescarlo, chiamò artisti di fama, Pier Francesco Mola, Gaspard Dughet, Jacques Courtois detto il Borgognone: il tema era i Quattro Elementi. Ma Il Mola litigò con il committente e, al suo posto, subentrò Mattia Preti, che affrescò in maniera egregia la Stanza dell’Aria. L’intero ciclo di affreschi venne eseguito fra il 1658 ed il 1661.

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  E nel nome di Mattia Preti si è inaugurato il “Mese della Cultura Pamphilia”, che ha il suo culmine il 28 novembre, con la presentazione ufficiale del Salone del Principe, il cuore del Palazzo. Un’intera giornata di studi ha avuto quale tema il Cavalier Calabrese e la sua arte che qui, oltre agli splendidi affreschi della Stanza dell’Aria, è presente con lo stendardo di San Martino al Cimino, in prestito temporaneo. E appare subito evidente l’alto livello del suo linguaggio pittorico nelle figure  allegoriche del salone, dove ognuna scandisce un tempo della giornata e l’insieme, oltre a scomporre i classici schemi barocchi della pittura murale, crea una sorta di fascinosa “perdita del centro”, come nota Anna Imponente, Soprintendente per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici del Lazio (e di “destrutturazione narrativa” parla Dora Catalano, pure della Soprintendenza, un moto circolare il cui dinamismo appare ben lontano dalla composta sacralità degli affreschi di Sant’Andrea della Valle). Notevole – e introdotto da Giorgio Capriotti, restauratore dell’Università della Tuscia – anche lo stendardo a due facce, da un lato San Martino di Tours che divide il mantello con il povero e dall’altro una bellissima immagine del Cristo Triumphans il cui referente stilistico immediato è il Guercino, che Preti riconosceva quale suo maestro ideale (e, ovviamente, non mancano suggestioni caravaggesche, come dimostrano i suoi quadri:  vedi “ San Sebastiano” o “Fuga di Enea da Troia”). In una delle sale è esposto il libro dove appare il contratto stipulato con Mattia Preti in data 17 marzo 1661.

P1030425vb  Il XVII secolo è stato il secolo in cui la passione antiquaria nata con l’Umanesino e sviluppatasi poi con il Rinascimento raggiunse il suo apice (i grandi collezionisti come Leopoldo de’ Medici, Cassiano del Pozzo, Bernardino Spada) e Mattia Preti ovviamente ne restò influenzato (in molte sue opere compaiono riferimenti soprattutto alla romanità, come osserva Giorgio Leone, Direttore della Galleria Nazionale di Arte Antica di Palazzo Corsini).  Operò a Roma e Napoli, dove s’imponeva la personalità di Ribera, lo Spagnoletto, e non fu insensibile al fascino della Scuola Napoletana come non lo era stato a quello dei veneti. Gli ultimi quarant’anni della sua vita li trascorre a Malta dove, ormai Cavaliere Fra Mattia Preti, progetta, decora ed affresca edifici e chiese a La Valletta (tema di buona parte degli interventi, da Nicoletta Marconi dell’Università di Roma di Tor Vergata a Denis De Lucca, dell’International Institute for Baroque Studies, University of Malta, a Giuseppe Mantella, restauratore. E, naturalmente, con i saluti di Vanessa Frazier, ambasciatrice della Repubblica di Malta in Italia). Ma vediamo gli altri affreschi, illustrati da Monica Di Gregorio, Direttrice del Museo di Palazzo Doria Pamphilj.

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  La Stanza del Fuoco, di Francesco Cozza, allievo del Domenichino, dove Venere circondata dagli amorini fronteggia Vulcano nella sua fucina, composizione di fine fattura il cui non facile restauro (crepe, lesioni, tracce di fumo dovute ai fuochi degli sfollati) l’ha resa al suo originario splendore. Molto bella e scenografica la Stanza dell’Acqua, di Guillaume Courtois, con il soffitto diviso in quattro riquadri da telamoni con un soggetto marino (Nettuno e Anfitrite) ed uno terrestre (Aci e Galatea, dalle “Metamorfosi” di Ovidio). Di tono minore ma comunque interessante la Stanza della Terra del poco noto Giambattista Tassi, con la raffigurazione delle Tre Arti, Architettura, Pittura e Scultura e la Terra al centro che regge il globo. Infine, dopo le sale dedicate ai continenti (ovviamente non figura l’Australia) e la cappella, il magnifico Salone del Principe, al quale lavorarono Courtois e Dughet, con una prospettiva a trompe-l’oeil e, in alto, una balconata dove si affacciano figure maschili e femminili. Assolutamente delizioso.

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  L’impianto pittorico generale risente di inflessioni cortonesche ma ha una sua precisa autonomia, messa in risalto dai vari interventi, centrati soprattutto su Mattia Preti e la sua arte (cito, ancora, Alessandro Cosma, Bruno  Bevacqua, Sante Guido, Carlo Galliano Lalli, M.Beatrice De Ruggieri e Marco Cardinali). E il “Mese della Cultura Pamphilia” prosegue con appuntamenti da non perdere: il 15 novembre, alle 17,30, una conferenza su Donna Olimpia Maidalchini, “Vita e vezzi della donna che ha cambiato lo Stato della Chiesa”, il 21, alle 18, presentazione dei progetti di valorizzazione dei Servizi Culturali della Città e, infine, il 28, alle 17, inaugurazione ufficiale dei restauri del Salone del Principe. Da non mancare, perché questo legame ristabilito con il passato, la storia di una casata e di un paese, costituisce “il biglietto da visita della città di Valmontone”, come hanno sottolineato il Sindaco Alberto Latini e il Vice Sindaco con delega alla Cultura Eleonora Mattia. Perché la Cultura è ricchezza, anche se qualcuno, tempo fa, ha detto che con la cultura non si mangia.

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Per informazioni www.comune.valmontone.rm.gov.it

 e andando su Museo Archeologico-Palazzo Doria-Sale Affreschi è possibile fare il tour virtuale delle Stanze.

3 Commentia“Valmontone e Mattia Preti”

  1. credo che chiunque abbia notato una inesattezza ( vistosa e strana, dato il luogo, le frequentazioni e la circostanza) da parte del redattore dell’articolo: Olimpia Aldobrandini , consorte del Principe Camillo, e’ la nipote per affinita’ di Olimpia Maidalchini,zia per via naturale di Camillo. Quindi costei non e’ la sposa di Camillo, ma la zia! per il resto un erudito elenco di citazioni consolidate. Grazie

  2. annoto che con questa mail ho esteso una nota precedente
    su altri temi e non su questo articolo( cfr Antonio Mazza del 13 nov.2014) Grazie

  3. antonio mazza // 27 novembre 2014 a 20:36 // Rispondi

    Caro GIPI, vero, ho sbagliato Olimpia, l’Aldobrandini e non la Maidalchini è la moglie, errore imperdonabile di cui chiedo venia. E, mi perdoni, ma quel “erudito elenco di citazioni consolidate” fa tanto studioso parruccone (e noioso), cosa che io francamente credo di non essere. Comunque il suo intervento critico lo giudico molto positivo perché dimostra che per lei la cultura è soprattutto stimolo ala discussione, al confronto (e magari anche allo scontro) dialettico. Esattamente come la intendo io. Un cordiale saluto.

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