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Palazzo Braschi. La Resurrezione di Lazzaro

1Un importante dipinto di Caravaggio, relativo al periodo messinese dell’artista, dopo la sua fuga da Malta, è quello della Resurrezione di Lazzaro (1608), raffigurante una scena evangelica che prelude alla resurrezione stessa di Cristo. Dopo un restauro durato sette mesi, la monumentale tela, alta quasi quattro metri, prima di ritornare a Messina, è in mostra a Roma fino al 15 luglio nel Museo di Roma a Palazzo Braschi, che apre per l’occasione al pubblico il salone d’onore appena restaurato e l’adiacente Cappella Valadier.  A proposito di questo dipinto, il critico d’arte Giovanni Bellori scriveva nel 1672: “Passando egli dopo a Messina … dipinse nella chiesa de’ Ministri degl’infermi, nella cappella de’ signori Lazzari, la Resurrezione di Lazzaro, il quale, sostentato fuori dal sepolcro, apre le braccia alla voce di Cristo che lo chiama e stende verso di lui la mano. Piange Marta e si maraviglia Madalena, e vi è uno che si pone la mano al naso per ripararsi dal fetore…”.  Secondo la sua natura, Caravaggio raffigurava anche gli aspetti più sgradevoli della vita, e quindi ci fa intuire quel fetore che viene ricordato nel Vangelo, quando Marta dice a Cristo che il fratello Lazzaro, già deposto nel sepolcro, è morto da quattro giorni.

th03 L’opera è una sintesi perfetta di emozione e devozione, con i personaggi in primo piano evidenziati da sapienti colpi di luce contro uno sfondo scuro che lascia immaginare l’ambientazione architettonica di una chiesa. Cristo, con il volto in ombra e la mano puntata verso Lazzaro, ricorda la Vocazione di San Matteo nella Cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi. La tristezza delle espressioni degli astanti rimanda alla Deposizione dell’ultimo Tiziano. Il volto del personaggio centrale, rivolto verso Cristo, con la bocca semiaperta e la fronte aggrottata evidenzia lo stupore per il miracolo, ovvero il momento di passaggio dalla morte alla vita nel corpo di Lazzaro, che appare ancora rigido, ma con le braccia aperte a significare la futura crocifissione e resurrezione del figlio di Dio.  Purtroppo l’opera non ha avuto una vita facile, avendo subito diversi restauri. Il primo intervento di cui si ha notizia, risalente al 1670, doveva essere stato disastroso, perché il suo esecutore Andrea Suppa si trovò ad asportare colore nero. Si racconta addirittura che, accusato dalla città di aver danneggiato il prezioso dipinto, ne sarebbe morto di dolore.  L’attuale intervento di restauro, eseguito dall’Istituto Superiore per la Conservazione e Restauro, in accordo con il Museo Regionale di Messina, è stato realizzato grazie all’Associazione culturale Metamorfosi, che ne ha organizzato anche l’esposizione, in collaborazione con Zetema progetto Cultura.

th04Dalle radiografie si è visto che Caravaggio ha eseguito il dipinto di getto, con un solo pentimento relativo alla caduta del drappo di Lazzaro. Sono state evidenziate con precisione le parti danneggiate dal tempo, dall’umidità e dai restauri precedenti, l’ultimo dei quali, eseguito dall’Istituto Superiore per il Restauro, risaliva al 1951. Si è evidenziato che il supporto è costituito da sei strisce verticali di tela di canapa, una aggiunta in epoca vicina all’esecuzione per permettere una collocazione adeguata dell’opera nella cappella. Le rilevazioni sono state fondamentali anche per individuare i materiali utilizzati da Caravaggio, che sono risultati quasi tutti diversi da quelli che usava a Roma.  Il lavoro di ripulitura è consistito essenzialmente nella rimozione delle vernici trasparenti impiegate durante i restauri precedenti, quelle vernici normalmente utilizzate nella pittura a olio per equilibrare il rapporto tra colori chiari e scuri. Una volta tolta la vecchia patina, maggiore rilevanza hanno assunto le masse corporee, che prima erano “annegate” nell’oscurità. Si è quindi provveduto alla reintegrazione pittorica e a una nuova verniciatura protettiva con materiali testati per reagire all’invecchiamento.

 

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  Museo di Roma – Palazzo Braschi
Orario: dalle 10 alle 20; chiuso il luned

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