Alle radici della Democrazia
Alle radici della Democrazia
di Antonio Mazza
Ciò che colpisce subito nel suo volto è lo sguardo. Ne traspare come una lealtà di sentimenti tipica dell’uomo che sa osservare oltre le cose per cercarne la verità di fondo. Quello sguardo al centro di un viso dai lineamenti non marcati, anzi, con un qualcosa di nobile, configura la classica espressione dell’idealista: di chi crede nell’uomo, con le sue luci ed ombre. E le ombre prevalsero in quel maledetto 10 giugno 1924, a Roma, quando Giacomo Matteotti fu sequestrato sul lungotevere da un gruppo di fascisti che poi lo assassinarono. Accadde un secolo fa e il suo ricordo e il suo messaggio politico vengono celebrati a Palazzo Braschi, “Giacomo Matteotti. Vita e morte di un padre della Democrazia”, mostra promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, a cura di Mauro Canali, con la direzione e il coordinamento generale di Alessandro Nicosia. Organizzata e realizzata da C.O.R. Creare Organizzare Realizzare con l’Associazione Costruire Cultura, il supporto organizzativo di Zètema Progetto Cultura, il patrocinio del Ministero della Cultura con Banca Ifis quale main partner, il contributo di Camera di Commercio di Roma, la partecipazione di Archivio Storico Luce, Rai Teche, Fondazione Pietro Nenni, Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico con prestiti di varie Fondazioni.
Un ampio coordinamento di più organismi per documentare in maniera esaustiva non solo il percorso umano e politico di Matteotti ma anche un periodo oscuro della nostra storia. Tutto inizia nella Bassa, a Fratta Polesine, dove Giacomo, figlio di benestanti, sin da giovane frequenta i circoli socialisti, interessandosi alle sorti del ceto rurale. Collabora a “La lotta”, fondato nel 1899, che sostiene le rivendicazioni delle leghe contadine in un territorio dove spadroneggiano gli agrari, dopo la guerra e il “biennio rosso” sostenuti dalle squadracce fasciste. Eletto nelle liste del Partito Socialista nel 1921 entra alla Camera dei Deputati come rappresentante del collegio di Ferrara-Rovigo, sempre impegnandosi nella difesa del “suo” Polesine proletario, dove la miseria, soprattutto per colpa dei proprietari terrieri, è ormai endemica (molto diffusa, fra i contadini, la pellagra). Nel 1922, a Roma, XIX Congresso nazionale del Partito Socialista, viene decisa l’espulsione dell’ala riformista e Matteotti segue Filippo Turati, divenendo poi segretario del nuovo Partito Socialista Unitario. Ma intanto la situazione precipita, i fascisti marciano su Roma, Mussolini diventa capo del governo e nel 1924, grazie alla legge Acerbo, vince le elezioni. Matteotti alla Camera denuncia il cima di intimidazione in cui si sono svolte nonché affari illeciti svoltisi durante il mandato mussoliniano. Ed è la sua fine.
Il recupero della memoria di Matteotti inizia con una serie di foto di famiglia, Giacomo da piccolo, i genitori, i fratelli, la casa di Fratta Polesine, gli anni giovanili e poi l’ambiente rurale dove vive e matura la sua coscienza politica e antimilitarista. Dopo la guerra l’impegno si traduce negli scritti su “La lotta”, il settimanale del socialismo polesano al quale collabora insieme al fratello Matteo, in un clima di crescente violenza squadrista (la redazione viene incendiata nel 1921). Nel 1919, eletto nel collegio di Ferrara, è ammesso alla Camera dei Deputati, e prosegue nella sua carriera politica con scrupolo e sempre vicino alla gente del Polesine (nel librone di Montecitorio figura la sua firma, ampia, distesa, che rivela un carattere deciso e intransigente, apprezzato e stimato dai compagni di partito). Che dia fastidio al nascente regime lo testimoniamo le interrogazioni parlamentari (lo scandalo petrolifero con le tangenti all’americana Sinclair, scandalo nel quale forse era coinvolto Arnaldo Mussolini) e gli scritti, “Inchiesta socialista sulle gesta dei fascisti in Italia” (1921) e “Un anno di dominazione fascista” (1924), pubblicato anche in Inghilterra, dove stigmatizza il clima di sopraffazione imposto dal regime.
Ultimo atto per Matteotti che, dopo aver denunciato le illegalità e gli abusi che hanno permesso la vittoria del partito fascista nelle elezioni del 6 aprile 1924, ha come un presagio (“Io il mio discorso l’ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me”, come cita Emilio Lussu in “La marcia su Roma”). E così è, un manipolo di sicari della Ceka fascista, antenata dell’OVRA, la polizia politica, lo sequestra sul lungotevere Arnaldo da Brescia e, dopo giorni di ricerca da parte delle forze dell’ordine, il suo corpo viene ritrovato nella macchia di Quartarella, comune di Riano sulla via Flaminia. Grande è la commozione e il concorso di gente ai funerali, nonostante i divieti del regime che celebra un processo farsa nei confronti dei colpevoli. Giacomo Matteotti, con la sua coerenza spinta sino al sacrificio, diventa il simbolo di opposizione alla dittatura, nel segno di una democrazia delle idee che diverrà realtà di popolo il 2 giugno 1946. Dopo anni di guerra, un paese distrutto e violato ma ancora capace di credere nel dialogo per creare l’immagine di libertà che aveva sognato quel giovane deputato della Bassa padana.
“Giacomo Matteotti. Vita e morte di un padre della democrazia” a Palazzo Braschi fino al 16 giugno. Da martedì a domenica h.10-19, biglietto solo Mostra intero 11 euro, ridotto 9. Per informazioni 060608, www.museodiroma.it e www.museiincomune.it
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