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L’affollata solitudine

ritardo-metro-roma-b-coda-1024x768Si scrive progresso, si legge regresso

Lo sospettavo da tempo che il telefono cellulare (ma si chiama ancora così?) stava trasformandosi in qualcosa di diverso rispetto a ciò che credevo fosse sin dalla sua comparsa e di recente, vuoi per alcuni impegni che mi hanno costretto a muovermi sui mezzi pubblici più del solito, vuoi perché ho voluto verificare se il mio sospetto fosse giustificato o meno, per quattro giorni di seguito, e per due volte al giorno, me ne sono andato avanti e indietro  sulla metropolitana da Termini a Rebibbia, e viceversa, per studiare il comportamento dei miei compagni di viaggio e ciò che ho visto non solo ha confermato la mia idea sulla mutazione genetica del popolo del cellulare, oltre che del cellulare stesso, ma soprattutto mi ha colpito la metamorfosi del viaggiatore o, se mi si consente un termine preistorico, del pendolare quotidiano che da assonnato o stanco, incacchiato o depresso, chiacchierone o riservato, solitario o compagnone, curioso o indifferente, è diventato un …un…un…cosa?

Cosa è diventato il ragionier Rossi, il geometra Verdi, il dottor Bianchi, l’infermiera dell’ospedale, la maestra d’asilo, la donna a ore, il professore di liceo, il muratore, il meccanico, il cuoco, lo studente che un tempo si sbaciucchiava con la compagna di classe, e via dicendo, e via elencando?

Cosa sono diventati i viaggiatori della metropolitana che un tempo si salutavano, si scambiavano informazioni persino sulla salute del pupo e del nonno?

Boh, non lo so, nessuno lo sa!

Come si può definire una persona (una? No, tante, troppe, tutte), accartocciata sul sedile della metro, o in piedi piegata su se stessa a smanettare in maniera compulsiva sulla tastiera di quel coso che una volta si chiamava solo telefonino e che adesso, forse, fa anche i bucatini all‘amatriciana meglio di Gianfranco Vissani?

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Bambini e ragazzi, giovani e vecchi, bidelli e professori, medici e paramedici, militari e portalettere, portieri d’albergo e lavandaie, domestiche a ore e guardie giurate, badanti e badati, di razza bianca, gialla, nera, olivastra, e via elencando, tutti, e dico tutti, piegati con il mento fino al petto, per leggere o scrivere messaggi, giocare a dama o a scacchi col computer miniaturizzato, sfogliare l’album delle fotografie delle vacanze estive a Ibiza, a Casamicciola o in Val Brembana, rievocare il giorno del matrimonio della figlia, la nascita del nipotino o la laurea del genio di casa.

Guardo quella umanità così indaffarata e penso a quando i ragazzi della scuola irrompevano nel vagone spintonandosi, chiamandosi a voce spiegata come ci si chiama da una collina all’altra, dandosi allegramente schiaffoni e calcioni e sfottendosi a vicenda per il risultato della squadra del cuore o perché la ragazza aveva dato buca a qualcuno di loro.

Penso anche, con una punta di malcelata nostalgia (porca miseria come passano gli anni!), a quando  pendolare lo ero anche io e a furia di viaggiare avanti e indietro per anni con estranei che facevano il mio stesso percorso, si finiva col fare amicizia e ci si scambiava esperienze e confidenze.

E dire che non sto parlando di preistoria ma di roba di otto, dieci anni fa, non di più.

Il tempo sufficiente, però, per compimento della rivoluzione copernicana che ha investito e rubato l’anima a ragazzi, ad adulti e a vecchi che scimmiottano i giovani e perciò ancora più irritanti.

Tutti con l’ordigno in mano, l’occhio vitreo puntato sul display e smorfie ora di compiacimento, ora di disappunto e spesso anche di stizza mal repressa.

Ma per cosa?

Come per cosa? Perché il giochino in atto non è riuscito, perché il titolo in borsa è calato rovinosamente, perché lei (o lui) non risponde al messaggio, perché domani pioverà, e perché ….perchè,…..boh, forse non c’è nemmeno un perché!

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Si apre la porta della metro alla fermata Bologna, nessuno scende ma salgono in trenta. Su trenta che entrano, trentuno hanno gli occhi fissi sul telefono e non si accorgono che la vettura è piena zeppa come un uovo.

Spintoni da abbattere un mulo, ma con il gomito e senza alzare la testa. Lo spintonato, anzi gli spintonati, quasi schiacciano altri spintonati che a loro volta, sempre con gli occhi sul display, spintonano quelli più lontani fino a spingerli contro la parete opposta della vettura, ma senza emettere un lamento. Un grottesco effetto domino!

Solidarietà della specie!

Ma l’altra mattina mi sono divertito un mondo perché è successo qualcosa che ha smosso le acque della dipendenza tecnologica e la scena cui ho assistito è stata irresistibile. Almeno per me.

Alla fermata di Monti Tiburtini è salita una ragazza di colore che si è fatta largo a furia di spintoni, ma senza staccare gli occhi dal display sul quale scorreva qualcosa che la faceva sorridere e ridere a scena aperta.

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La ragazzona portava una borsa a tracolla gonfia di chissà cosa e nel mentre si proiettava in avanti per impossessarsi dell’unico centimetro quadrato ancora libero, nello sforzo di divincolarsi dalla tenaglia di due omaccioni che le sbarravano il passo, la borsa si infranse sulla faccia di una signora piuttosto in carne impegnatissima in un accanito solitario sul telefonino. L’urlo agghiacciante non suscitò alcuna reazione degli intruppati a testa china, ma la grassona, tenendosi con la mano sinistra l’occhio pesto, afferrò con la destra la ricciuta capigliatura della rea alla quale, a causa dello sforzo di liberarsi dalla presa della corpulenta signora, sfuggì il telefonino di mano che finì calpestato dalla calca diretta verso il centro della vettura.

Apriti cielo! Cominciarono a volare schiaffoni micidiali da ambedue le parti in un ‘ndo cojo cojo pazzesco, alimentato dalla tifoseria scatenata costituita dai passeggeri i quali, finalmente svegli dall’ipnosi, anziché intervenire per separare le due iene scatenate, cominciarono a fare un tifo da stadio per l’una o per l’altra, senza, però, sapere il motivo dell’avvincente spettacolo.

 

Qualcuno tirò il freno di emergenza ed il treno si bloccò con uno stridio di freni. Dopo qualche istante una guardia giurata grossa quanto un armadio fece capolino all’interno della vettura ma, scoraggiata dalla barriera umana, rinunciò ad entrare e ritornò sui suoi passi.

Il treno ripartì a passo d’uomo, poi riprese la corsa e la massa di assatanati del cellulare, delusa dallo spettacolo senza sangue delle due contendenti, sprofondò nuovamente nella sua avvincente occupazione.

Che dire?

Nulla, meglio non dire nulla sull’alienazione collettiva derivante dal cattivo uso di un aggeggio che sarebbe molto utile e comodo, a volte anche indispensabile, se adoperato con buon senso, ma io sono stato colpito anche dal fatto che, in quattro giorni di avanti e indietro sulla metropolitana, affollata o meno che fosse, non ho visto nemmeno un libro in mano ai passeggeri, e neanche un giornale, altro brutto segno dei tempi, perché il libro è ossigeno puro per il cervello ed il giornale è una finestra spalancata sul mondo.

Colpa del telefonino?

Ma no, non è colpa del telefonino, semmai del cattivo uso che se ne fa, ma anche questo è un segno dei tempi.

15 Commentia“L’affollata solitudine”

  1. Caro Enzo, come non darle ragione: anche io viaggio molto in metro A e pure B perchè vivo a Cinecittà e ahimè ho la SCARAZIA (neologismo di contaminazione tra scarogna e disgrazia. Petaloso docet..) di insegnare in quel di san Paolo. La Mattina, tra Re di Roma e Manzoni, piuttosto che tra Piramide e Garbatella, tutti chini sul cellulare, ovviamente. Arrivi a scuola ed entri in classe: dopo i soliti 5 minuti per far avere ai pargoli un comportamento umano, comincia la lezione. Stai spiegando una cosa qualsiasi alla lavagna: allora, gli acidi si dividono in idracidi e ossiacidi… ti giri verso la classe e… per un attimo hai l’impressione di trovarti in una trincea di San Martino del Carso, sotto il tiro degli shrapnel dell’artiglieria austroungarica: non si vede una testa. Sono tutti chini, ben protetti dallo zaino sapientemente posizionato sul banco. Indovinate cosa fanno?

  2. Carissimo scrittore, la sua considerazione finale lo ha salvato da una critica sicuramente selvaggia, forte, determinata, contro.Se il cellulare è usato bene è utilissimo, agli inizi dell’uso massiccio del cellulare criticavo l’uso indisciminato poi, un giorno, sono incappato in un incidente abbastana serio r su sei persone nessuno era in possesso di un aggeggino per chiedere aiuto. da allora ho pensato di comprarmi uno e portarlo sempre addosso, con la speranza do npon diventare compulsivo. W il cellulare. per quanro riguarda la rissa romana non si meravigli, a Roma avete il colosseo dove nel passato si scontravano i gladiatori e la folla affamata di sangue si eccitava, pertanto quei romani sono i loro discendenti. Quanto lavoro ancore deve fare il povero “Francesco” per civilizzare e idirizzare sulla via di Damasco i Romani.Hanno fallito sia Saulo che Pietro, si spera in un miracolo di Sant’Anna, Maria la Madre celeste, San Francesco e perchè no San Pio.

  3. Massimo & Gabri // 3 marzo 2016 a 23:42 // Rispondi

    Bella questa finestra che hai voluto aprire sulla società, il fatto che ti sia immerso tra la gente sul metrò per spiarne le abitudini, per capire quanto siano cambiate, ha il sapore di una poesia. Io dalla tua disamina deduco che la vera difficoltà dell’uomo moderno è di trovare punti di riferimento , forse non trovandone, odia anche riferirsi al posto in cui è perchè dovrebbe contestualizzare le sue azioni e connettersi alla realtà. E la realtà può essere banale e noiosa, guai allora annoiarsi. E quindi cosa c’è di meglio che connettersi con qualcuno che in quel momento non c’è per chattare evitando di vivere il momento presente nel posto in cui si è (troppo banale).
    L’uomo moderno è strano; soggiogato e schiavo della TV per anni, ora ha la possibilità di connettersi in modo ossessivo compulsivo col mondo che in quel momento non è presente, e delega a questo cellulare, che non è più solo un telefono il suo atavico bisogno di comunicare con gli altri, con qualcuno, che se fosse presente non lo considererebbe forse nemmeno. E’ la straordinarietà del nostro tempo, dove il rifiuto del banale, che diventa eccezionale, attraverso l’inutile. Grazie ancora una volta per averci fatto riflettere, e per farci anche un po sorridere delle aberrazioni del nostro tempo.

  4. Pietro Parisi // 4 marzo 2016 a 7:49 // Rispondi

    Mi meraviglio che ti meravigli. Ogni rivoluzione tecno … (logica?) comporta cambiamenti radicali. Prendine atto e non ti rovinare il fegato. I nostri padri sono sopravvissuti a noi… D’accordo non è la stessa cosa. E’ colpa dei tempi? Un abbraccio.

  5. francesca // 4 marzo 2016 a 8:54 // Rispondi

    Sono daccordo con Enzo il quale ha fatto un analisi precisa di come va in questo momento il mondo.
    Mio padre da buon (Palizzitanu ) diceva sempre che il pesce puzza dalla testa.
    Cordiali saluti.
    Francesca Saccà

  6. La mia abitazione è zeppa di libri. L’accumulo materiale di una vita dedicata allo studio e alla ricerca spirituale. Presto però ci si accorge che non c’è più posto per tutti. Il sovrappiù è destinato al limbo della cantina, dove giace immobile a ridosso di altri libri. Pagine morte, riposano, forse per sempre, in tombe cartonate, sapientemente imballate.
    Quasi ogni giorno entro ed esco dalla metropolitana, dove tra andate e ritorni mi tocca trascorrere, se tutto va bene, circa un paio d’ore. Capelli bianchi, zainetto da scolaro sulle spalle, zeppo di carte, appunti, libri, taccuini, agenda, per non dire di matite, penne, carta da disegno e altre inseparabili suppellettili dell’anima. Un ampio fagotto e un bel carico. Quando il vagone è affollato, come sempre accade in orario di punta, mi tocca viaggiare in piedi, deporre il libro, tenere in braccio lo zaino, come un pupo addormentato.
    Da circa un mese ho sostituito l’intero zaino con un «eReader» tascabile (cm 11x15x0,6). Oggi contiene già un centinaio di volumi, classici della letteratura, della filosofia, della storia dell’arte, articoli di riviste e di quotidiani, tutti in formato «eBook» o in PDF. Giorni fa scaricai dalla rete una copia gratuita di «Madame Bovary», in versione originale. La francese affabulazione di Flaubert fu più potente della questuante fisarmonica dello zingaro, della cacofonica telefonata con la mamma urlata del mio maleducato vicino, e purtroppo anche dell’altoparlante incorporato nella carrozza: «Treno per Rebibbia. Prossima fermata, Bologna». Dovevo purtroppo scendere prima, a Policlinico. Mi toccò bruscamente interrompere la lettura, invertire la mia direzione di marcia, tornare indietro per guadagnare l’opposta corsia.
    Osservando dall’alto la mia contrarietà, l’amico Flaubert volle così consolarmi: «A ben guardare, non accade pure lo stesso presso il popoloso, laborioso, eroicamente incolonnato universo delle formiche? Eppure queste sono già ben più fortunate di noi, non hanno alcun bisogno di smartphone, di iPad, iPod, eReader e di altri accessori esterni. Prima di metterle in produzione, la saggezza naturale ha voluto incorporare i necessari apparati comunicativi e immaginativi già nel progetto originario di queste perfette creature. Eppure qualcuna di esse ancora si prende la libertà di distrarsi, di astrarsi, di eludere per un attimo la fatale necessità della sua destinazione. Occorre essere più pazienti, occorre avere più fiducia nel progresso della genetica. Forse tra dieci, quindici anni motori di ricerca di nuova generazione verranno direttamente incorporati nel DNA degli umani, tutti saranno perennemente connessi e magari non sarà più necessario salire e scendere le scale metropolitane, né urtarsi nelle affollate carrozze dei treni».
    Potremo così avviare la conversazione universale con morti e viventi in ogni momento, senza più il bisogno di scendere in cantina o visitare cimiteri.

  7. Maurizio,
    la SCARAZIA è davvero il matrimonio tra due iatture quasi letali, ma è splendido come neologismo che sintetizza l’azione combinata, e perciò più temibile, perchè accresce le pene quotidiane di un povero cristiano.

  8. Caro Enzo, riguardo la tua riflessione, c’è da dire che las Comunicazione è oggi così ampia, veloce e capillare da essersi trasformata in un rumore di fondo. Una specie di colonna sonora cacofonica con cui conviviamo (vi siamo costretti dalla logica dominante della nostra era), ma che rimane in superficie, non penetra nella testa e nel cuore dell’uomo. Siamo sempre connessi, captiamo messaggi frammentari, raccogliamo informazioni che ci rimbalzano addosso ogni momento attraverso la TV, la radio, internet, il telefono … tutto materiale che si accumula disordinatamente nel deposito mentale di ciascuno di noi, fino a riempirlo.
    Oggi c’è un’akedia, cioè un’accidia, che si esprime alla rovescia. Questo vizio capitale un tempo metteva alla prova soprattutto colui che viveva in solitudine, ma adesso sembra essere diventato il male tipico della società del fare e dell’era della comunicazione. Domina la figura del “fannullone iperatiivo”, secondo un’espressione del filosofo francese Pascal Bruckner. La persona non è più capace di restare presso se stessa, di accogliere e leggere ciò che nasce nel suo profondo.
    Nervosità e agitazione insorgono prepotenti e così si trovano ragioni per fuggire ciò che sembra un fantasma che, in realtà, è solo ciò che emerge dal profondo, con niente si radica, niente permane, tutto è a breve termine e ha il respiro corto.

  9. Caro scrittore non mi meraviglio del Suo (forse) stupore sull’uso dello smartfone così credo si chiami oggi non è più il telefonino come lo conoscevamo negli anni fine novanta inizi duemila ormai l’evoluzione informatica è questa e non ci possiamo redimere ma accettare questa evoluzione,cioè il consumismo e non mi meraviglio di ciò che scrive nell’articolo perchè non solo in metropolitana come a Roma anzichè a Milano o altra città che si vuole , ma basti pensare quando si viaggia in macchina sia che si è in coda che in autostrada lo smartfone è sempre protagonista.I tempi che Tu citi li ricordo bene si hai ragione bei tempi, i mezzi di trasporto erano luoghi in cui fare amicizia,oggi anche questo è cambiato i socialnetword hanno sostituito tutto questo peccato almeno una volta c’era anche il contatto umano che oggi è finito o quasi,il rimpianto non fa per me guardiamo avanti e cerchiamo di adeguarCi, però non così tanto.

  10. Caro Enzo,bello il tuo articolo anche se in fondo un po’ triste, per noi che siamo di un’ altra generazione ma questa che hai cosi’ bene rappresentato è purtroppo la realtà di oggi e noi dobbiamo adattarci a fatica…

  11. Come al solito Enzo rileva un fenomeno sociale e lo evidenzia in un suo godibilissimo scritto. Il fenomeno è diventato così appariscente che ormai tutti coloro che si spostano, anche a piedi, ne sono consapevoli. E parlo di coloro che sono sopra il mezzo secolo. Tutti gli altri lo trovano naturale. La folla di applicazioni ed utilizzi che riempie quella che era apparsa come una rivoluzione esistenziale in quanto permetteva di contattare i propri corrispondenti telefonici da ogni luogo, ora ha stravolto il primo utilizzo di telefono portatile. Praticamente con i …fonini di nuova generazione ci si può fare di tutto, cose utili ed inutili, passatempi innocenti e pericolosi (leggasi la situazione ritratta nel film Perfetti sconosciuti). Più è giovane la generazione che lo utilizza e più lo strumento è indispensabile e sempre più le mega industrie che lo producono si sforzano di renderne indispensabile l’utilizzo. Chissà perché questa considerazione mi ricorda il film Matrix, con la differenza che nella fiction si parlava di un’applicazione che necessitava di un telefono connesso tramite un vecchio caro cavo telefonico, ora cosa accadrà?

  12. Era da tempo che riflettevo su questo fenomeno, davvero insopportabile, e quando mio figlio mi ha segnalato questo articolo mi sono sentito confortato perchè ho avuto conferma che non sono io solo a pensarla così. E’ vero che ho quasi sessant’anni, ma se sono ancora buono a giocare a calcetto, sarò anche buono a pensare con la mia testa, e la cosa mi consola. Grazie per la soddisfazione che mi avete dato.

  13. Giovanni Previti // 16 marzo 2016 a 11:41 // Rispondi

    Caro Enzo, concordo su tutto. Hai fatto un’alisi perfetta della situazione. Io aggiungerei qualcosa alla tua analisi. I giovani !!! Una volta, ( non tanto tempo fa ) ai tempi del cellulare normale viaggiavano sui mezzi pubblici stando in piedi e quindi consentendo alla gente anziana di trovare posto a sedere. Oggi quello che ho notato che questi giovani fanno di tutto per trovarsi un posto a sedere, poiché devono stare concentrati al massimo su questi aggeggi. E quindi si nota una massa di giovani seduti ed un’altrettanta massa di gente anziana arrabattarsi a cercare un appiglio per stare in piedi.

  14. Caro Enzo,
    davvero bello questo tuo “pezzo” che ci porta a riflettere su cose ed abitudini alle quali oramai non facciamo più caso. Condivido perfettamente le tue considerazioni, in particolare quella finale sul “cattivo utlizzo” delle cose. In fondo il telefono cellulare è nato per facilitare la comunicazione tra “gli umani”, e quindi avrebbe dovuto incentivare la possibilità di relazione tra singoli. Via via si è invece trasformato in un piccolo micidiale “cavallo di troia” che è entrato nelle nostre vite riversandoci dentro ogni genere di “diavoleria” autosufficiente. Sicchè lo smartphone, pare si chiami così, poco per volta, è diventato “lui” il nostro interlocutore, finendo con l’isolarci da tutto il resto del mondo che ci circonda. Che fare ? Qualche saggio lettore ha osservato che non si può andare contro le “abitudini dei tempi”. Ed io concordo. A mio avviso l’unica difesa che possiamo usare è quella del senso critico, così come ci sforziamo di fare in tanti altri ambiti. La ragione è l’unica arma che abbiamo per non ritrovarci in mezzo al gregge che cammina non si sa verso quale meta …. Un abbraccio grande e grazie per la compagnia che, con i tuoi scritti arguti, mi regali.

  15. Grazie Luigi jr perl’attenzione e per l’apprezzamento.
    Io, curioso assai assai, mi guardo attorno e vedo un’umanità senza anima, manichini che si muovono in automatico, bestiole addestrate a pigiare tasti che aprono finestre su un mondo virtuale che anestetizza i cervelli al punto di farli sembrare tutti figli della stessa mamma.
    Quale?
    Boh!

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