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LE PAROLE E IL VENTO

In quel bellissimo e a tratti struggente canto elegiaco che è “La grande bellezza”, di Paolo Sorrentino, si narra del nostro tempo come un tempo di dispersione, dove si parla e si ascolta (se si ascolta) nel vuoto. E’ una metafora del nulla plastificato che ci avvolge, non a caso ambientata a Roma, la capitale della vanitas vanitatum, dove la politica rappresenta il cuore pulsante della non-vita che attraversiamo ogni giorno e tutto il resto è noia, per dirla con il grande Califano.

  Parole in libertà, chiacchiere che tracimano dai teleschermi, con i talkshow di pronto consumo dove tutti litigano con tutti o quelli più seri dove si affrontano i problemi del Paese, ma in entrambi i casi è solo un ciarlare fine a se stesso. Come lo è quello fra le persone, un parlare che dal gridato iniziale, di protesta, si è ormai fatto rassegnato, con qua e là un po’ d’indignazione, in un velleitarismo colorito alla bar sport. Parlare di cosa e come e, soprattutto, perché in questo paese ormai alla deriva, grazie ad una classe politica completamente avulsa dai problemi della collettività: corporativa e chiusa nei propri privilegi come poche altre non solo in Europa ma nel mondo? Certo la colpa non è solo sua, c’è pur sempre il mondo della finanza con le sue speculazioni, eccetera, ma il centro decisionale è o no il Parlamento?

  La Legge di stabilità? Ma per piacere, è una presa per i fondelli (per non dire altro) che tanto pagheranno sempre i soliti perché di patrimoniale neanche a parlarne, i ricchi non si toccano, e hai voglia a dire, ma il buon Letta ha un limite oltre il quale non può andare. D’altronde cosa pretendere da un governo anomalo come questo, che dovrebbe (dovrebbe) conciliare gli interessi di chi sta in basso con quelli di chi respira aria di collina o montagna? La Banda Bassotti fa quadrato, come sempre, peraltro molto preoccupata da quanto le capita in casa, con chi Silvio non lo molla perché lui è un uomo d’onore (non faccio dello spirito, cito Shakespeare, “Giulio Cesare”, atto III, scena II) e chi invece sì perché, nel caso cada il governo e si vada alle urne, c’è il rischio di perdere la poltrona con relative prebende. Ma coraggio, ora ci sono i “falchetti” a sostenere il Cav. ed eccoli i figli di papà giovani e fighetti lì a ripetere il mantra della congiura bolscevica e c’è anche la mamma fiera che il bimbo le scalciava dentro perché aveva sentito Lui (m’ha ricordato mia madre quando mi raccontava dei raduni oceanici a piazza Venezia, allorché una popolana, alzando il bimbo sulle braccia, gridò verso il balcone. “Chisto è ‘o sangue mio, Duce, pigliatella!”).

  Parole, parole ma, a questo punto, per onestà intellettuale mi (e vi) chiedo: ma noi tutti, non politici, cittadini comuni, cosa facciamo per il bene dell’Italia? Ricordate cosa diceva John Kennedy, “Non chiederti cosa può fare il tuo paese per te, chiediti cosa puoi fare tu per il tuo paese”? Ecco, cosa fa l’italiano per il suo paese oltre che, giustamente, brontolare? Per la maggior parte nulla, solo parole, e ne conosco di persone che protestano, diritti di qua e diritti di là poi, al dunque, inquinano, sporcano, sono prepotenti, fanno “inghippi” più o meno grossi e via dicendo. E’ solo una percentuale minore (forse un 30%, ad essere ottimisti) che ha piena coscienza civica di sé e del ruolo che può rivestire nel Paese, piccolo o grande che sia. E allora, di cosa stiamo discutendo? Ogni popolo ha il governo che si merita.

  Ma non ci si può rassegnare al marcio che dilaga ovunque, ad un paese per metà avvelenato dalle ecomafie e per l’altra metà devastato dal cemento, all’Italia della Bellezza che sta morendo se noi tutti, ripeto noi tutti, non diamo il nostro apporto, creando una coscienza di appartenenza che, come detto sopra, per buona parte non c’è. Se i politici sono quel che sono e sempre saranno, uomini di compromesso più o meno sporco (e qui la storia è spesso bipartisan), facciamo qualcosa, impegniamoci affinché non ci rubino la speranza, come ha detto Papa Francesco (sembra che cominci a dare fastidio a qualcuno, per quelle zone d’ombra vaticane concusse con la finanza).

  Lui almeno le parole non le spreca. Prendiamo esempio.

direttorea

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