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Mal d’Oriente

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                                                        Mal d’Oriente

di Antonio Mazza

  A Roma, sul lungotevere, all’altezza di Ponte Umberto I, nella piazza omonima si trova il Museo Napoleonico. E’ ospitato nel Palazzo Primoli,  famiglia imparentata con i Bonaparte per via di Luciano, fratello dell’imperatore, il cui figlio, Carlo Luciano, aveva sposato la cugina Zenaide, figlia di Giuseppe Bonaparte. Dalla loro unione era nata Carlotta che contrasse matrimonio con il conte Pietro Primoli, ufficiale della Marina Pontificia. In navigazione sulle rotte mediterranee, affascinato dall’Africa del Nord, iniziò a scrivere diari di viaggio e a procurarsi testi di etnografia e geografia. La biblioteca è un po’ il primo nucleo della ricca collezione Primoli, che poi si arricchisce dei cimeli napoleonici donati da Mathilde Bonaparte al nipote prediletto, Giuseppe, figlio di Pietro. Insieme al fratello Luigi visse gli anni dell’infanzia e adolescenza nella Parigi Secondo Impero, sviluppando una forte voglia di conoscenza grazie alla zia Mathilde ed al suo frequentato salotto culturale. All’epoca era di moda il “Japonisme”, l’amore per tutto ciò che proveniva da un paese lontano da poco apertosi all’Occidente (1854) che scopriva così una cultura misteriosa quanto ricca di fascino. E questo comportò, oltre all’importazione di oggetti d’arte e di uso comune, che alimentavano famose collezioni parigine, come quella di Edmond de Gouncourt, anche il riprodurre con manifattura locale opere tipiche della tradizione giapponese. Come i “kakemono”, rotoli dipinti, di carta o tessuto, che venivano appesi in verticale nel “tokonoma”, spazio della casa a loro dedicato.

Ventaglio in stile japonais dipinto da Giuseppe De Nittis e da lui donato a Mathilde Bonaparte.

Ventaglio in stile japonais dipinto da Giuseppe De Nittis e da lui donato a Mathilde Bonaparte.

  E il fulcro della mostra riguarda appunto i 14 rari kakemono che Giuseppe Primoli acquistò a Parigi portandoli poi a Roma, nel suo palazzo dove figurano insieme ai ricordi di viaggio, alle tante foto (entrambi i fratelli erano appassionati del genere) e, naturalmente, i cimeli napoleonici che impreziosiscono il tutto. In quattro sale si snoda il percorso che inizia con “Masquerade exotique”, assolutamente in tema, perché era quasi d’obbligo in quegli anni, soprattutto a carnevale, assumere sembianze esotiche, appunto. Come risulta dalle foto in costume, tipo Luigi Primoli in veste d’indiano, protagonista della vita mondana della Capitale (“…dà ricevimenti ove non manca alcuna delle più alte e celebrate bellezze quirine”, scriveva D’Annunzio giornalista su “La Tribuna” del 21 febbraio 1888). Da notare, in bacheca, due singolari documenti d’epoca, il menu della cena di gala per l’inaugurazione del Canale di Suez, in data 18 novembre 1869, e l’invito a pranzo del khedivè d’Egitto Ismail Pascià al conte Pietro Primoli. Entriamo poi nel cuore del “Japonisme”, anticipato da foto, stampe all’albumina e gelatina al bromuro d’argento (vedi bambina con bambola giapponese scattata sul Lungotevere), oggetti, una tempera su carta originale (“Donna cinese raccoglie bacche da un arbusto”). E, notevole, il magnifico ventaglio su seta che Giuseppe De Nittis eseguì per la principessa Mathilde nel gusto del periodo Edo, con un soggetto tradizionale caro a Hiroshige, la discesa delle oche selvatiche a Katata. Il ventaglio fu donato al caro nipote Giuseppe, ben figurando accanto alla collezione di kakemono.

Gru, ramo in fiore e peonia (1875-84). Sulla destra uno scritto di Giuseppe Giacosa e una poesia di Cesare Pascarella.

Gru, ramo in fiore e peonia (1875-84). Sulla destra uno scritto di Giuseppe Giacosa e una poesia di Cesare Pascarella.

  Di indubbio fascino, generalmente su soggetto floreale con uccelli, che si esprime con toni delicati i quali, a loro volta, traducono in segni il lirismo del paesaggio naturale, i kakemono sono un dato importante della cultura figurativa giapponese, alla stregua degli ukiyoe (e non a caso la mostra si svolge in contemporanea con l’altra di Palazzo Braschi, creando un legame ideale di continuità: meglio, una sorta di corollario). Ma, aldilà dell’intrinseca bellezza ed eleganza, la loro peculiarità e nell’essere tutti contenitori di autografi delle personalità più in vista della cultura di quegli anni. Ecco il kakemono del soggiorno parigino di Giuseppe, con le firme di Paul Valéry, Colette, Guy de Maupassant, Anatole France, Paul Claudel, Stephane Mallarmé, Emile Zola. E quelli portati a Roma, dove è un profluvio di firme. Scrittori, politici, attori, poeti, storici, ma anche reali d’Italia e d’Europa (un rotolo è affollato di nomi illustri), tutto un mondo che ha lasciato traccia di sé negli spazi non dipinti dei kakemono. Giovanni Verga, Matilde Serao, Arrigo Boito, Marco Praga, Emile Malle, Gabriele D’Annunzio, Cesare Pascarella, Eleonora Duse, Giuseppe Garibaldi e tanti altri, che coprono un lungo arco di tempo, dal 1884 alla morte di Giuseppe Primoli, nel 1927. Questi donò il Palazzo alla città di Roma, inaugurato come Museo da Mussolini la cui firma compare su un kakemono che figura nella sala dove sono i cimeli raccolti da Luigi Primoli, viaggiatore e fotografo (“Il conte Primoli è un bambinone, che fa fotografie e mostra la lanterna magica”, annota Emile Zola nel suo “Diario Romano”). Fra gli oggetti esposti rilevante un calendario indiano di fede islamica  inciso in caratteri pali che cita “nel mese santo di Ramadan dell’era dell’Egira 1264”. E le foto, abiti, souvenir che all’epoca erano considerati paccottiglia per turisti e oggi, insieme ai kakemono, sono memoria di quell’Oriente che sedusse Giuseppe e Luigi Primoli.

Kakemono con la firma di Mussolini in alto a sinistra.

Kakemono con la firma di Mussolini in alto a sinistra.

“Giuseppe Primoli e il fascino dell’Oriente” al Museo Napoleonico. Da martedì a domenica h.10-18, ingresso libero. Per informazioni 060608 e www.museonapoleonico.it

Calendario islamico in lingua pali e souvenir indiani.

Calendario islamico in lingua pali e souvenir indiani.

La mostra è promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai beni Culturali e curata da Elena Camilli Giammei, Laura Panarese e Marco Pupillo. Organizzazione Zètema Progetto Cultura.

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