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Chi è il bel fanciullo che si toglie la spina dal piede? Un semplice pastorello o un personaggio mitico? A questa e ad altre domande più tecniche cerca di rispondere la mostra “Spinario. Storia e fortuna”, ospitata nei Musei Capitolini dal 5 febbraio al 25 maggio 2014 e curata dal direttore degli stessi musei Claudio Parisi Presicce. Da quando, nel 1471, lo Spinario giunge in Campidoglio con la donazione al popolo romano dei bronzi lateranensi da parte di Sisto IV, diventa uno dei capolavori più noti delle collezioni capitoline, insieme alla Lupa, al Camillo e ai frammenti della statua colossale di Costantino. Si tratta di un’opera bronzea che, per la raffinata freschezza del tema trattato – il dolore dovuto a una spina, che potrebbe anche essere visto come metafora delle pene d’amore – ha incuriosito e continua a incuriosire gli studiosi e gli artisti, che l’hanno riprodotta in innumerevoli repliche. Già nel Medioevo lo Spinario veniva raffigurato in alcuni capitelli, come quello del XII secolo proveniente da Tolosa, mentre Nicola Pisano si ispirò ad esso per la raffigurazione del mese di Marzo nella Fontana Maggiore di Perugia. Nel Rinascimento Brunelleschi lo inserì nella formella con la scena del Sacrificio d’Isacco, mentre Luca Signorelli copiò la posa della statua in due suoi dipinti. 

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