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Urbano Rex

Ritratto di Urbano VIII.  Foto di Alberto Novelli.

Ritratto di Urbano VIII.
Foto di Alberto Novelli.

                                                              Urbano Rex

di Antonio Mazza

  E’ vero, quando entri nel grandioso salone di rappresentanza, con quella spettacolare volta affrescata da Pietro da Cortona, dove viene celebrata la gloria della famiglia Barberini, provi uno stupore che ogni volta si rinnova. Cogli sempre una sfumatura diversa che t’inebria e questa volta, con tutta una parete arredata con tre magnifici arazzi e, sopra, i rispettivi cartoni, c’è davvero di che ubriacarsi di bellezza, perché qui è rappresentato lo spirito della Roma barocca al suo massimo grado. Spirito che ben seppero cogliere ed esaltare i Barberini, soprattutto grazie al mecenatismo del colto Maffeo, il papa, come narra “L’immagine sovrana. Urbano VIII e i Barberini”, densa mostra a cura di Maurizia Cicconi, Flaminia Gennari Santori e Sebastian Schutze, prodotta dalle Gallerie Nazionali di Arte Antica con il sostegno della Direzione Generale Musei del Ministero della Cultura. Oltre 80 opere provenienti da musei e collezioni private italiane ed estere e un percorso che si snoda in 12 sezioni per meglio comprendere il senso del pontificato di Urbano VIII, dove politica e cultura si intrecciano nel segno di un potere non solo amministrativo, come capo della Chiesa, ma personale, in rapporto al suo ambito familiare, favorendo fratelli e nipoti.

Parte del soffitto, i cartoni e gli arazzi ("Il battesimo di Cristo", "Costantino combatte con il leone", "Maffeo Barberini eletto papa"

Parte del soffitto, i cartoni e gli arazzi (“Il battesimo di Cristo”, “Costantino combatte con il leone”, “Maffeo Barberini eletto papa”

  Maffeo Barberini studiò presso i gesuiti e grazie allo zio Francesco, protonotario apostolico, ebbe successo nella carriera ecclesiastica, referendario, cardinale, vescovo e infine papa, nel 1623 (la mostra celebra appunto i 400 dalla sua elezione). Ventuno anni di pontificato che lo videro impegnato sul fronte politico interno (la questione della Valtellina, la guerra di Castro, che sarà poi conclusa da Innocenzo X) ed esterno (i tentativi di pacificazione nella guerra dei trent’anni), nonché su un piano più strettamente ideologico (la condanna di Galilei e del Giansenismo). Poi, come già detto, il rafforzamento del suo clan e tutto come incorniciato dall’amore per l’arte, vissuto in prima persona (il “papa poeta”) e quale mecenate che, grazie a personalità eccezionali (Bernini, Pietro da Cortona ed altri) plasmò il volto della Roma barocca (lo spettacolare baldacchino in San Pietro, Santa Bibiana, la residenza di Castel Gandolfo e, naturalmente, Palazzo Barberini). Ed ecco subito alcuni pezzi preziosi della sua collezione personale, come “Il sacrificio di Isacco” del Caravaggio, dai toni cupi e intensi e “San Sebastiano nella cloaca Maxima” di Ludovico Carracci, più di maniera.

"Sacrificio di Isacco", Caravaggio.

“Sacrificio di Isacco”, Caravaggio.

  Nel percorso troviamo i protagonisti del familismo Barberini, i nipoti cardinali Francesco e Antonio (rispettivamente un bel marmo di Lorenzo Ottoni che ne curò il monumento funebre in San Pietro e un ritratto di stampo classico di Simone Cantarini) e l’altro nipote nonché principe di Palestrina Taddeo (raffigurato da Andrea Sacchi, autore dell’allegoria della Divina Sapienza nel Palazzo Barberini). Su tutti troneggia il magnifico busto bronzeo del Bernini, Urbano VIII, papa che con l’Istituto di Propaganda Fide e le agiografie dei santi celebrava l’universalità della Chiesa di Roma (vedi il potente “Martirio di Sant’Erasmo” di Nicolas Poussin e il tragico “I martiri di Nagasaki” di Tanzio da Varallo, tema di uno dei migliori film di Martin Scorsese). E ancora quadri, statue, libri e oggetti di una superba collezione purtroppo dispersa fra varie sedi nazionali ed internazionali e qui in buona parte ricostruita. Opere notevoli come “Pan disteso” attribuito a Francesco da Sangallo, un autentico capolavoro inciso nel marmo, l’ “Arpa Barberini” di Giacomo Acciari, di squisita fattura (figura anche in una tela del Lanfranco, Venere quale musicista). Naturalmente non mancano le allegorie a maggior lustro della famiglia Barberini, con tanto di api (ovviamente) e alloro, sacro ad Apollo, simbolo di sapienza e di gloria (molto intrigante la “Allegoria della Pace”, di Giovan Battista Muti e Charles Mellin).

"I martiri di Nagasaki" di Taranzio da Varallo. Pinacoteca di Brera, Milano.

“I martiri francescani di Nagasaki” di Taranzio da Varallo.
Pinacoteca di Brera, Milano.

  Un chiodo delle travature del Pantheon, scampato al sacco di Roma del 455 ad opera di Genserico. Una curiosità che testimonia l’interesse di papa Urbano per l’antico, che contempla anche la celebre “Fornarina” di Raffaello (1520, un secolo prima), pezzo forte della sua collezione. E che dire di “Allegoria di Roma” di Valentin de Boulogne, dal vivido cromatismo, di “La distruzione del tempio di Gerusalemme” di Nicolas Poussin, con i suoi toni rudi, o de “Il battesimo di Cristo” di Giovanni Francesco Romanelli, dalle tinte quasi sfumate? E poi i libri, dalla filosofia alle scienze all’archeologia, con testi quali “Civitas Soli” di Tommaso Campanella, “Il Saggiatore” di Galileo Galilei, “Roma sotterranea” di Antonio Bosio, “De florum cultura” del gesuita Giovanni Battista Ferrari, senza dimenticare l’astrologia. D’altronde il papa ospitava nel suo palazzo un cenacolo d’arte, intellettuali, poeti, pittori, musicisti, personalità come Cassiano del Pozzo, Gabriello Chiabrera, Francesco Bracciolini (autore del poema epico-allegorico “L’elettione di Urbano VIII”), Alessandro Tassoni. E gente di pennello, Poussin, o di nota, Kapsberger, virtuoso della tiorba, dedicandosi anche alla Cappella pontificia (vi fece ammettere Gregorio Allegri, autore del celebre “Miserere”). Dunque un umanista che peraltro s’impegnava in prima persona, come dimostrano i “Poemata” qui esposti.

"Pan disteso", attribuito Francesco da Sangallo. St.Louis Art Museum.

“Pan disteso”, attribuito Francesco da Sangallo.
St.Louis Art Museum.

  A celebrare i fasti barberiniani contribuiva anche l’arazzeria fondata nel 1627 da Francesco in onore dello zio, lavori di splendida manifattura dei quali ho parlato all’inizio (“Battesimo di Cristo”, “Costantino combatte il leone”, “Maffeo Barberini eletto papa”). Ma è soprattutto il senso di grandiosità scenica, il “far maraviglia” che traspare da quadri imponenti che, a loro volta, riflettono il glorioso effimero degli apparati della Roma di Urbano VIII. S’impongono all’attenzione il colore e quasi il sapore de “La Giostra del Saracino” di Andrea Sacchi e del “Carosello per l’ingresso di Cristina di Svezia” di Pietro Gagliardi. Colpisce anche un’opera piena di movimento, “Celebrazioni per la posa della prima pietra della chiesa di Santa Maria della Concezione”, di artista romano del XVII secolo, quasi un documento antropologico dell’Urbe barocca. E, ovviamente, non si può non ammirare due tele fresche di restauro, “La strage dei Niobidi” e “il riposo di Diana”, entrambe di Andrea Camassei, allievo del Domenichino, dalle tonalità piuttosto morbide.

Busto di Urbano VIII, bronzo di Gian Lorenzo Bernini.  Collezione Principe Corsini, Firenze.

Busto di Urbano VIII, bronzo di Gian Lorenzo Bernini.
Collezione Principe Corsini, Firenze.

  E questo è il suggestivo ritratto di Urbano VIII, un papa per certi versi innovatore, il Barocco essendo nato con lui e il suo entourage familiare (emise anche una bolla contro la schiavitù nelle colonie americane), ma nel contempo conservatore, sugli echi della riforma tridentina, riguardo questioni etiche e dottrinarie (Galileo, Giansenio). Un papa che aveva eletto Castel Gandolfo a suo luogo di delizie, il “buen retiro”  dove si recava appena libero dagli impegni di palazzo. Il papa poeta, “ab urbe rura nos vocant ad otium/ bonae quietis, innocensque gaudium”, il luogo dell’oblìo ove è sempre bello tornare.  “Ut est videre dulce, sive collium/ Aprica, sive montium crepidines, Humum vel herbidam, satamve, cum seges/ Velut maris tumentis unda fluctuat”. Com’è dolce rivedere questi colli aprichi, il profilo dei monti lontani e, giù nella pianura, i prati verdi e le messi che ondeggiano come il mare.

La Sala Pietro da Cortona, lo spettacolare soffitto.

La Sala Pietro da Cortona, lo spettacolare soffitto.

“L’immagine sovrana. Urbano VIII e i Barberini”, fino al 30 luglio. Da martedì a domenica h.10-19, biglietto intero euro 15, valido per 20 giorni Barberini e Corsini. Per informazioni www.barberinicorsini.org

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