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150 anni fa, sulle rive della Senna.

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                                 150 anni fa, sulle rive della Senna

di Antonio Mazza

  All’inizio tutti quei giovani che, tela e pennelli sotto il braccio, si piazzavano ai bordi del fiume o giravano per i paesi dei dintorni, dipingendo “en plein air”, suscitarono curiosità. Poi, quando ci  fu la loro prima esposizione, organizzata a Parigi dal fotografo Nadar, una collettiva di 31 pittori, non mancarono i giudizi negativi di un pubblico non avvezzo alle novità. A cominciare dai critici e uno di questi, Louis Leroy, ispirandosi a un quadro di Claude Monet, che gli risultava particolarmente sgradito, usò la parola “impressionismo” in senso ironico e negativo, come macchia che imbratta la tela. Oggi di Leroy nessuno si ricorda ma di Monet e del suo “Impressione, levar del sole” (1872), con quello struggente riverberìo di luci, custodito nel prestigioso Musée Marmottan Monet di Parigi, è più che viva la memoria. E come di lui di tutto quel gruppo di giovani che dipingevano “en plein air” sulle rive della Senna o nelle campagne e nei villaggi di Francia.

Vittorio Sgarbi durante la conferenza stampa di presentazione della mostra.

Vittorio Sgarbi durante la conferenza stampa di presentazione della mostra.

  150 anni fa, un movimento che ha le sue radici nella Scuola di Barbizon e in certa pittura inglese, Turner in particolare, un movimento con nomi prestigiosi che tutti ben conosciamo, Renoir, Manet, Monet, Pissarro. Ma dietro ce ne sono altri, tanti,  considerati “minori” e spesso ingiustamente dimenticati, pittori che comunque hanno contribuito all’affermarsi della rivoluzione impressionista in Europa ed anche oltreoceano (il gruppo dei “Ten American Painters”). Impressionismo che, come ha ben definito Vittorio Sgarbi alla presentazione della mostra nel Museo Storico della Fanteria,”Impressionisti. L’alba della modernità”, è uno stato d’animo, “una condizione dello spirito”. In effetti si propone come nuova visione della pittura alternativa all’accademismo di tipo classico ed esprime un valore interiore che, nel gioco di luci e colori, riflette una “joie de vivre” simbolica per il luogo espositivo scelto. “L’idea di conquistare uno spazio di guerra come questo museo con una mostra d’arte è un segnale di pace”, afferma Sgarbi e non si può non essere d’accordo.

"La trombe" (1870), di Gustave Courbet.

“La trombe” (1870), di Gustave Courbet.

  Tre sezioni, “Da Ingres a l’Ecole de Barbizon”, “I fermenti dell’Impressionismo” e “L’eredità dell’Impressionismo”, con 66 artisti e 160 opere esposte, fra quadri, litografie, bozzetti, bronzi. Punto di partenza è un quadro di Eugène Delacroix,  “Studio per la morte di Sardanapalo” (1827), che con i suoi colori sfilacciati e una macchia confusa di luce, sembra anticipare lo spirito dell’Impressionismo. Altro tema il paesaggio che viene sviluppato dalla Scuola di Barbizon, di cui alcuni esponenti sono in mostra, Jean-Baptiste Camille Corot (i deliziosi paesaggi italiani), Charles-François Daubigny (“Case di campagna”, “La Senna nei pressi di Gaillard”), Narcisse Virgilio Diaz de la Pena (un romantico “Sentiero nel bosco”), Jean-Baptiste Millet (“Paesaggio al tramonto”, 1885). In sintonia, anche se considerato un realista, Gustave Courbet con il suo possente “La trombe” (1870). Alla cultura pittorica del paesaggio e della gente umile (vedi Millet) si aggiungerà poi il lato più tecnico, la fotografia, con  Nadar (e, qualche anno dopo, 1895, l’immagine in movimento dei fratelli Lumière). Tutto questo, in un momento storico favorevole per la Francia, con la  rivoluzione industriale e lo sviluppo urbano, Parigi come un cuore pulsante di vita (siamo alla vigilia della Belle Epoque), confluisce a formare l’essenza segreta dell’Impressionismo che, come già accennato, è “joie de vivre” allo stato puro.

"Lachagrin" (1890), pastello di Henry Somm.

“Lachagrin” (1890), pastello di Henry Somm.

  Due opere in particolare sembrano sintetizzarlo, “Coquette” di Franc Pierre Lamy e “Le Chagrin” (1809), pastello di Henry Somm, entrambe vaporose e sensuali, e, naturalmente, non si può non citare le ballerine di Degas e i nudi di Renoir. E’ una festa del corpo che riscopre la sua fisicità anche dal punto di vista ludico, come ben traspare da “Jockey” (1899), litografia di Henri de Toulouse-Lautrec. Ma senza dimenticare il lato umano, di gente comune, vedi il sorprendente “Lavandaie sulla spiaggia di Etretat” (1894), di Eugène Boudin, ammirato da Monet e Baudelaire. Un pittore da riscoprire, come Jean-Baptiste Léopold Levert, Stapinas Lepine, Paul Lecomte (“Bateau sur la riviere”, scelto come logo della mostra) con i loro delicati paesaggi, Girard Firmin (“Notre Dame de Paris”, “Ritratto di Marc Girard”), Marcellin Desboutin (“Autoritratto”, 1895, olio su cartone). Hanno, è vero, un’impostazione piuttosto classica, ma nella stesura del soggetto rivelano una forte componente impressionista.

"Lavandaie sulla spiaggia di Etretat" (1894), di Eugène Boudin.

“Lavandaie sulla spiaggia di Etretat” (1894), di Eugène Boudin.

  E, naturalmente, i grandi, consacrati alla fama presso il grande pubblico, che fanno da robusto basso continuo ai loro colleghi così riscattati da un non meritato oblìo (almeno da noi in Italia). Degas, naturalmente, al quale è dedicata un’intera sala, i suoi bronzetti, foto di famiglia, le sue famose ballerine, “non donne, ma esseri di una sostanza incomparabile, traslucida e sensibile”, come scriveva Paul Valéry. E Manet, del quale cito lo “scandaloso” (sempre il Leroy a sputar sentenze) “Olympia” (1863), l’incisivo “Ritratto di Berthe Morisot” (1872), grande amica di Manet e valida pittrice, il drammatico “La barricade” (1871), con riferimento alla feroce repressione che seguì la caduta della Comune di Parigi. Ancora, Monet, qui presente anche con il servizio di teiera di casa sua, Renoir, la morbida “Bagneuse endormie” (1897), un interessante “Portrait de Wagner” (1882), la grande allegoria a pastello su cartone di “La Saone se jetant dan le bras du Rhone” (1913).

Sala dedicata a Edgar Degas.

Sala dedicata a Edgar Degas.

  Forma, colore, luce, il messaggio impressionista presto si afferma perché è quello che, artisticamente, meglio interpreta un’epoca di movimento. Un’esperienza pittorica nei cui elementi costitutivi già fermentano nuovi codici di linguaggio, come il “pointillisme”, il divisionismo, il punto-colore, in parte anticipato da talune opere di Camille Pissarro (“Les fauneuses”, 1893, per esempio) e poi praticato da Paul Signac ed altri (di Signac quadri e litografie). In parallelo si sviluppa in Italia il movimento dei Macchiaioli che con l’Impressionismo ha delle affinità, più di contenuto che di forma, un legame soprattutto ideale. Di certo l’Impressionismo ha lasciato una traccia profonda, qualcosa che possiamo ben chiamare la sua “eredità”, come titola l’ultima sezione della mostra, al cui centro è la luce: luce come affermazione di vita, una ricerca insieme pittorica ed esistenziale iniziata 150 anni fa, sulle rive della Senna.

"Jockey" (1899), litografia di Henri de Toulouse-Lautrec.

“Jockey” (1899), litografia di Henri de Toulouse-Lautrec.

“Impressionisti. L’alba della modernità” al Museo Storico della Fanteria fino al 28 luglio, da lunedì a venerdì h.9,30-19,30, sabato, domenica e festivi h.9,30-20,30. Biglietto euro 15 weekend e festivi, 13 ferali, 10 ridotto. Per informazioni 3513558588 e www.navigaresrl.com

Piatti decorati da Ludovic Napoléon Lepic.

Piatti decorati da Ludovic Napoléon Lepic.

L’esposizione è prodotta da Navigare srl ed organizzata con il supporto del comitato scientifico composto da Gilles Chazal (ex Direttore Musée du Petit Palais, Membre école du Louvre), Vincenzo Sanfo (Curatore mostre internazionali, esperto di Impressionismo), Maithé Vallès-Bled (ex Direttrice Musée de Chartres e Musée Paul Valéry) e diretto da Vittorio Sgarbi.

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