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Ai tempi dell’Ariosto

Micrologus  “Le donne, i cavalier, l’arme, gli amori”. E ti ritornano innanzi e quasi le tocchi lontane reminiscenze scolastiche, immagini sfocate di gioventù acerba con tutta la sua voglia di vita. Perché l’Ariosto, con le sue storie di Orlando e Angelica, Rinaldo, Medoro, Bradamante e tutti gli altri canta sì l’avventura e l’amore ma soprattutto la perfetta quanto effimera bellezza di una breve stagione della vita. E di freschi umori giovanili è intriso il suo “Orlando furioso”, che conquistò le corti le corti di Ferrara e Mantova, Estensi e Gonzaga, l’incanto della fantasia di cui oggi si celebra il quinto centenario (prima stampa aprile 1516). Ed anche le musiche, quali, sollecitate da Isabella d’Este, vennero a corredare varie parti del poema, ora riproposte dall’Ensemble Micrologus all’Aula Magna della Sapienza.

  Un programma nutrito, che alterna arie, frottole, madrigali, canzoni, pezzi strumentali con brani d’impostazione profana (oggi diremmo laica) scritti da compositori noti soprattutto per la musica sacra. E dopo l’introduzione con il famoso verso d’apertura si entra nel corpo vivo dell’opera, ripercorsa nei suoi passaggi più significativi. Come “Le son tre fantinelle”, del mantovano Marco Cara, dalla struttura melodica deliziosamente popolaresca, o “La verginella è simile alla rosa”, di Francesco della Viola. “A che sono hormai conducto” e “Vidi hor cogliendo rose”, di Alessandro Demofonte, frottole, cioè composizioni polifoniche profane, non riprendono l’Ariosto ma lo affiancano, per così dire, creando tutto un clima.

  Ed è, nei modi, quello dell’amor cortese, del “cantar d’augelli e ragionar d’amore”, un tempo trascorso e che tuttavia ha lasciato traccia nei costumi della prima rinascenza. La forma e i contenuti, dove l’una sviluppa modi stilistici in parte mutuati dall’Ars Nova fiorentina e l’altra il tema d’amore che ha radici lontane ma resta sempre un punto fermo della società cavalleresca (ora, nel ‘500, la sua forza ed essenza è tutta racchiusa nel poema cavalleresco, ospite abituale delle corti signorili, come gli Este e i Gonzaga). “Voltate in qua do bella donzellina./ voltate un poco a me per cortesia,/ dolce speranza mia,/ ch’io moro per il tuo amor”, così in una spumeggiante canzona di Francesco Patavino.

  Qui si esalta la bellezza, come nella “Aria per cantare stanze ariostesche”, di Tuttovale Menon, madrigalista d’origine bretone, brano sottilmente erotico, o nell’aria in recitativo dove si celebrano le virtù della Casa d’Este, “De l’alta stirpe d’Aragona antica”, di Anonimo. E il mal d’amore che conduce Orlando alla follia,  celebre passo del poema, “Di pianger mai, mai di gridar non resta”, di Anonimo, e “Queste non son più lacrime”, di Bartolomeo Tromboncino, il lamento dell’eroe. E sempre il tormento che affligge il cuore è il tema di “Gravi pene in amor si provan molte”, un colorito madrigale di Cipriano de Rore, che fu maestro di cappella a San Marco, e “Gravi pene in amor”, di Jacob Arcadelt, “magister” alla Cappella Giulia in Roma. Entrambi sono musicisti che compongono abitualmente musica sacra ed ora si cimentano nel genere profano, cosa d’altronde all’epoca normale fino alla riforma tridentina, che sancì nuove regole. Vi appaiono chiari elementi della tradizione melodica popolare come nel movimentato “Scaramella va alla guerra”, del grande fiammingo Josquin Des Prés, che fu anche alla corte di Ferrara.

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  Un pezzo sanguigno alla stregua del simpaticissimo “Lirum bililirum”, di Anonimo,in dialetto bergamasco, né bisogna dimenticare i brani solo strumentali, dall’idilliaco “Danza pastorale”, su ritmi di ballo campestre, alla dolce e malinconica “Dance de Cleves”, fino all’energica “Moresca armata”, il tutto esaltato dalla bravura dei componenti l’Ensemble Micrologus, che hanno ricreato il clima di un’epoca dove la chiave di ricerca della vita era soprattutto la Bellezza.

  E nominiamoli tutti perché se lo meritano: , direzione), Goffredo Degli Esposti (tamburino, buttafuoco e zufolo, sordellina, flauto), Gabriele Russo (lira da braccio, ribeca), Enea Sorini (tenore, percussioni), Simone Sorini (cantore a liuto), Mauro Borgioni (basso), Leath Studdard (arpa con arpioni), Crawford Young (liuto, viola da mano), Gabriele Miracle (dulcimer, percussioni). Pubblico entusiasta, ovviamente.

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