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Carmelo saliva.

viaetnea3Carmelo saliva. Per via Etnea. Doveva percorrerla fino alla estremità superiore.  Era il primo pomeriggio di un giorno feriale e aveva un appuntamento al quale teneva molto. Era stato invitato ad un esperimento che stava facendo epoca presso una  cerchia di studenti. Ma non tutti erano convinti, compreso il suddetto giovane, raziocinante, scettico e seguace dell’empirismo di un noto santo che – secondo una vulgata approssimativa e poco rispettosa– “se non vedeva non credeva”.

La crescita edilizia della città ogni tanto induceva i governanti anche alla creazione di  qualche opera di pubblico interesse. Come la Circonvallazione nord, ampia e a doppia carreggiata, vietata ai carretti, che unendo il Tondo Gioeni ad Ognina, dalla collina al mare, ed essendo quindi in forte dislivello, suggeriva sciagurate imprese giovanili.

Puccio lo attendeva impaziente all’incrocio  della nuova strada.

<<Salutiamo!>>.

<< Salutiamo i ritardatari! Gli altri sono già dentro >>.

Se Carmelo avesse avuto un dubbio sul perché era stato invitato con tanta insistenza da uno studente che conosceva appena, se lo tolse appena intravide le tre ombre che  già occupavano abbondantemente il veicolo parcheggiato all’inizio della discesa: si trattava di ragazzi di stazza notevole, più o meno come lui, che a fronte del modesto metro e sessantacinque di altezza registrava alla bilancia un 78 chili in abiti estivi. Quello che serviva alla bisogna: concentrato e compatibile con l’abitacolo.

<< Salutiamo!>>  si dissero reciprocamente i tre ragazzi e Carmelo, mentre lui si adattava a fatica scostando lo schienale del sedile anteriore.

<< Pronti ?!>> disse Puccio, mentre avviava il motore.

Calò il silenzio, rotto appena percettibilmente dall’ansimare di Alfio, 85 chili, collocato accanto al pilota.

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 La cinquecento si mosse lentamente, facendosi superare da alcuni veicoli: dopo l’unico incrocio, e una lieve curvatura del tragitto, Puccio diede decisamente il gas e iniziò a commentare alla Sandro Ciotti: <<Terza- doppietta- quarta- sessanta- settanta- ottantacinque (limite indicato dal costruttore, carusi !)- novanta- cento- centocinque, che più non si può  perché…>>

<< Perché l’ago del tachimetro si è bloccato ? >> chiese-rispose Carmelo con soddisfazione e gli occhi ancora semichiusi per l’ebbrezza.

<< Perché siamo disgraziati, miseria ladra, c’è ‘a Polizia>> disse in un rantolo Puccio, guardando a fatica nello specchietto tra un faccione e l’altro degli argonauti posteriori, mentre il motore emetteva un deciso risucchio e si spegneva mesto al bordo della strada.

Risoluzione del problema secondo Alfio, rivolto a Carmelo: << Ma tuo padre non è maresciallo d’a’ Pula ? >>

Problema risolto, liberi tutti (dopo identificazione) e…Carmelo sotto sequestro, in casa, con cazziatone paterno di portata epocale, muso materno da tregenda e cena a puttane ( per tutta la famiglia). Nottata infame di Carmelo, con apparizione eterea  di San Tommaso che insisteva come se nulla fosse accaduto nel suo assunto e, come nel famoso dipinto di Caravaggio, metteva il dito nella piaga.

Solo che stavolta la piaga non era propriamente il costato del Cristo. Donde la  risposta sintetica, nel dormiveglia, dell’ormai ex seguace (“ Vaff…”).

(Selezione dei brani dal libro di F. Romeo, CATANEIDE, Città del Sole Edizioni, a cura di Enzo Movilia)

4 Commentia“Carmelo saliva.”

  1. Salutiamo!
    Il “salutiamo” espresso al plurale veniva, e forse avviene, indirizzato non necessariamente a due o più destinatari ma anche in un incontro di persona singola.
    Il plurale dà solennità al saluto, ma tra amici è particolarmente esilarante nella sua seriosità, eppure è ancora molto diffuso.
    Di cavolate su cinquecento scassate ne abbiamo fatto tutti, ma quella fatta al tempo delle olimpiadi di Roma, la sera di Berruti, non la dimenticherò mai.
    Lungo il muro del cimitero ci eravamo appartati in cinque per un incontro con una signora di strada. Il servizio si svolgeva ordinatamente, uno alla volta e gli altri a debita distanza. Il terzo si accingeva a prendere il posto del secondo ma qualcosa si inceppò nei cambi. La signora era scesa dalla macchina per qualche urgenza e Pepè si attardò per sistemarsi. Era buio e quando Ciccio entrò nell’abitacolo anzichè la fanciulla, allungò le mani su Pepè.
    Apriti cielo!
    Lascio immaginare il parapiglia, ma la serata finì a caNNOLI, OSPITE D’ONORE LA SIGNORA della nostra serata particolare.

  2. Lo sballo di noi ragazzi di quell’epoca era “andare a puttane”, pur avendo tanta di ragazza alla quale si voleva un gran bene.
    Ma come si poteva non andarci? Era un rito, un sacramento laico, ma bisognava andarci per non perdere la faccia con gli amici.
    Ricordo Nicolino quella sera che andò in bianco a causa di una febbre da cavallo che lo divorava. Non si tirò indietro e quando arrivò il suo turno entrò lesto lesto nella cinquecento di Pippo, ma le cose andarono maluccio.
    Come lo abbiamo saputo?
    Ha cantato Bastianella, naturalmente: “nenti fici!” ed il povero Nicolino fu sputtanato.
    Poi si rifece alla grande, naturalmente, ma astianella l’avrebbe ammazzata.

  3. Peppuccio // 25 marzo 2014 a 9:17 // Rispondi

    Sono originario di Marsala, ma ho fatto l’università a Catania perchè lì c’era una mia zia che mi ospitava e mi accudiva amorevolmente.
    Mi riconosco in queste avventure raccontate da Federico Romeo e credo si riconoscano tutti quelli della nostra generazione. Di casini ne facevamo a bizzeffe, ma credo di poter dire che nel fondo di ciascuno di noi c’ea una pulizia ed una sorta di innocenza che negli anni è andata svanendo, complkice il benessere del boom economico degli anni Sessanta e di tutto ciò che ne è seguito.

  4. Ma a Catania tutti salgono e scendono da qualche parte?
    Naturalmente è solo una battuta che fotografa un momento dell’azione dei vari protagonisti e devo dire che è davvero efficace, almeno nella mia valutazione, perchè rappresenta un flash sullo stato d’animo di quel momento del protagonista dell’azione che sta per svolgersi.
    Mi sto divertendo un mondo a leggere questi quadretti tanto cari a mio marito che è siciliano di Enna e si riconosce in quei ragazzi e in quell’ambiente.

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