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Dicembre 1943, si comincia da Monte Lungo

201Sessanta anni fa l’allora Unione Sovietica era in pieno clima di “disgelo”, come conseguenza della denuncia fatta da Nikita Krusciov al XX congresso del Pcus dei crimini di Stalin. Si scoprì allora tutto l’inferno concentrazionario dei “gulag”, soprattutto grazie agli scritti di Solgenitsin, e, più in generale, il clima repressivo che regnava nel paese. Un clima che ben aveva reso un romanzo ripudiato nell’Urss e divenuto famoso in Occidente, “Il dottor Zivago”, di Borìs Pasternàk, e fu un italiano, amico dello scrittore, a farlo conoscere: Sergio D’Angelo, giornalista e grande viaggiatore. Ma fu anche uno dei tanti che contribuirono a liberare l’Italia dal nazifascismo e la sua avventura di giovane soldato che combattè a fianco degli Alleati è ora libro di memoria: “Dicembre 1943, si comincia da Monte Lungo”.

  Siamo alla svolta conclusiva del conflitto, l’Africa Orientale Italiana è ormai persa e gli angloamericani stanno per sbarcare in Sicilia. Nonostante ciò la retorica di regime continua a parlare di “vittoria finale” e, dal canto loro, Sergio e i suoi commilitoni, acquartierati a Caserta, passano il tempo fra marce, esercitazioni a fuoco, giuramenti di fedeltà al “re imperatore” con sullo sfondo, come drammatico basso continuo, i pressoché quotidiani bombardamenti di Napoli. Poi la “sorpresa” del 25 luglio, Mussolini è sfiduciato, cade il regime e tutti, pieni di speranza, cantano “Siam congedà, a casa si va”, ma quella parentesi di vuoto denso di interrogativi (Siamo liberi? È davvero finita?) viene stravolta dall’8 settembre: la guerra continua.

  E così quel clima di caserma tipico della naja, dal cameratismo talora un po’ goliardico, che alterna gavettoni ad un sincero afflato umano, muta bruscamente allorché il battaglione confluisce nel I Raggruppamento motorizzato italiano che combatterà a fianco dell’esercito alleato. Monte Lungo è la prima tappa, una battaglia dura che, malgrado le pesanti perdite, si conclude bene, meritando l’elogio del generale Clark, che comanda la V armata americana. Il nostro Sergio, che nel frattempo è divenuto sergente, risale con i suoi la penisola, incontrando rovine, morte, fame ed incrociando anche le famigerate truppe marocchine (pag.83, il prete con il fucile che fa la guardia per evitare aggressioni alle sue parrocchiane).

  Ma la lotta maggiore e più improba è con i pidocchi che infestano le uniformi e l’abbigliamento in genere dei militari. Comunque si va avanti, verso la Linea Gustav, che corre da Ortona fino alla costa tirrenica, Cassino come punto nodale, destinata perciò ad essere rasa al suolo. E così anche l’Abbazia, fra le cui possenti rovine si insediano i Diavoli Verdi tedeschi, che dànno non poco filo da torcere ai polacchi del generale Anders. E’ uno scenario di distruzione totale, dove gli italiani, ora inquadrati nella VIII Armata britannica e forti di diecimila uomini (ai quali si aggiungono quelli della Divisione Nembo), fanno bene la loro parte, incalzando senza tregua i tedeschi. Altre battaglie, molto dura quella di Colle Martino, nel gruppo delle Mainarde, ma il pericolo maggiore è costituito dalle mine nascoste ovunque, e ne fanno le spese alcuni commilitoni di Sergio.

  Guardiagrele, Orsogna, Lanciano, Chieti, gli italiani avanzano, malgrado le perdite, e intanto arriva la notizia che Roma è stata liberata il 4 giugno e gli Alleati sono sbarcati in Normandia. Sergio, avuta una breve licenza giunge a Roma su una jeep americana (“…mi deposita alla periferia della capitale, presso le macerie della Basilica di San Lorenzo”). I suoi stanno bene e, nel loro villino, hanno nascosto due ebree ed alcuni militari sbandati, rischiando davvero grosso. Ma non è finita, di nuovo in marcia, questa volta a nord di Macerata, impegnati a Filottrano: otto ore di duri combattimenti casa per casa, i parà della Nembo contro i tedeschi con intervento dei carri armati. Si conclude la prima fase delle operazioni ed ora al Corpo di liberazione italiano subentrano i gruppi di combattimento che, con uniformi ed armi britanniche, prenderanno parte alle operazioni contro la Linea Gotica.

  Un diario di guerra che si legge tutto d’un fiato, sia perché scritto in modo semplice – ma non banale, tutt’altro- con uno stile che coinvolge il lettore, sia per i contenuti, non limitati ai puri fatti bellici, come spesso accade in testi del genere, bensì con molta attenzione al particolare. Il ceto medio che si interroga sul suo ruolo, in fondo il fascismo l’ha più subìto che scelto, ma è soprattutto la figura del soldato con la sua umanità che l’A. evidenzia con un piglio costantemente in bilico fra serio ed ironico, dove si avverte quel pizzico di fatalismo tipico della sua origine (nato a Roma, città che nel suo Dna ha “tutto”). In conclusione una lucida testimonianza di un periodo drammatico della nostra storia e bene ha fatto l’editore Ciolfi a pubblicarla nella ricorrenza dei 70 anni dalla Liberazione. Che si deve anche a loro, a quelli che l’hanno poi raccontata, come D’Angelo, e a quelli che non sono mai più tornati.

Sergio D’Angelo, “Dicembre 1943, si comincia da Monte Lungo”, pagg.130 euro 13, Ciolfi editore, Cassino.

Per informazioni www.ciolfieditore.it. Vedere anche pasternakbydangelo.com .

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