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Haendel, Schubert e Bruckner

IU9A8416Magnifico l’avvio della XIII edizione del Festival di Musica e Arte Sacra con il “Saul”, dramma sacro composto da Georg Friedrich Haendel durante il suo lungo soggiorno londinese. Un oratorio di ampio respiro, dove parti concertate, recitativi, arie e cori conferiscono al racconto biblico un fascino tutto particolare, che è poi quello del Barocco nella sua fase più alta. Luminoso, questo è il termine che meglio lo definisce, fin dall’inizio, con l’ouverture tutta impostata sugli archi, un clima come di gioia rattenuta subito ripreso dal coro, con il suo inno al Signore.

  Ma è un clima avvelenato dal dramma che incombe, perché re Saul è geloso di David e trama per ucciderlo, fingendo però amicizia al punto di promettergli la figlia, Micol, in sposa. Davide vincente (ha sconfitto Golia), al quale tutti tributano onori, gli fa paura e teme per il suo potere e nell’inganno coinvolge il figlio, che però è amico di Davide, trovandosi così diviso fra due affetti. Cerca inutilmente di dissuadere il padre ma la situazione precipita verso il finale che suggella un dramma di sapore quasi shakespeariano, per quel suo cupo intreccio di amicizia, amore e morte nel cono d’ombra del Potere.

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  Come negli altri grandi oratori di Haendel, dal “Messia” a “Israele in Egitto” a “La Resurrezione” , qui è un procedere a cerchi concentrici, onde sonore e vocali che si alternano e sovrappongono in un vero tripudio melodico. Soprattutto il coro ha qui una funzione non solo di abbellimento scenico, per così dire, ma introspettiva, di commento morale ad una vicenda dove si parla delle due opposte nature dell’uomo (“Envy, eldest born of hell”, invidia, il primogenito nato dell’inferno). Un coro alla greca per la doppiezza di re Saul, ma la stessa forza è nelle arie e nei recitativi, spesso di una infinita dolcezza (vedi la preghiera di Gionata). E poi lo sfondo sonoro, con le sinfonie che s’aprono come oasi all’interno dell’oratorio (coinvolgente la marcia funebre) impreziosendo questo capolavoro magnificamente diretto da Doris Hagel con il Kantorei Schlosskirche Weilburg e la Cappella Weilburgenis. Klaus Mertens, basso, Anna Haase von Brincken, contralto, Mechthild Bach, soprano, Monica Mauch, soprano, Sebastian Kohlepp, tenore, Hans Jorg Mammel, tenore, Carsten Siedentop, basso, Bernard Weese, basso.

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  Praticamente mai eseguito il “Lazarus”, di Franz Schubert, che ne compose solo due parti, l’ultima delle quali un frammento ritrovato molti anni dopo la sua morte.  Il terzo atto, conclusivo, sarebbe stato dedicato alla resurrezione, mentre i primi due parlano di Lazzaro che divide la sua vicenda terrena con le sorelle, Marta e Maria. Altri personaggi compaiono, Natanaele, Simone e Jemina, ed è un affresco umano di grande intensità, che presenta una forte differenziazione di toni fra la due parti dell’oratorio. La prima, affidata alle voci soliste, appare a tratti quasi felpata nel suo tracciare il senso come di latente mistero (che poi avrebbe dovuto manifestarsi nella parte mancante), mentre la seconda, con intervento a più riprese del coro, crea un atmosfera più drammatica. Quindi una sorta di ben delineato crescendo, poiché alla stasi iniziale, di pacata riflessione, succede quella dinamica, di presa di coscienza di qualcosa che incombe (c’è da chiedersi come Schubert avrebbe
composto il terzo atto). E tutto trova nella solida interpretazione dei Wiener Singverein e della Wiener Philarmoniker diretti da Ingo Metzmacher il giusto equilibrio. Steve Davislim, tenore, Werner Gura, tenore, Rachel Harnisch, soprano, Christiane Libor, soprano, Sophie Karthauser, soprano, Daniel Schmutzhard, baritono.

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  Di Anton Bruckner, spesso eseguito nei concerti del Festival (ricordo la VI e VII sinfonia), ho scritto che la sua musica è come una forza della natura. Lo confermo per la “Messa n.3 in fa minore per soli, coro e orchestra”, dove la sua religiosità raggiunge toni altissimi. Un inizio quasi rarefatto ma subito la melodia si avvolge  come una spirale che si condensa intorno al “Kyrie” per poi sciogliersi in ampie cadenze sinfoniche e infine, nel Credo, erompere in un turgore di voci e musica che quasi stordisce per la sua forza. E bellezza, naturalmente, come nel “Sanctus” e nel conclusivo “Agnus Dei”, con quell’incedere a serpentina, nell’alternarsi dei vuoti e dei pieni, che costituisce il fascino di Bruckner. Qualcosa che si ripete con il “Te Deum”, ma decisamente in misura minore, in quanto, a differenza della “Messa”, dove solisti e coro si susseguono innestandosi nel flusso melodico, qui è tutto più insistito su un timbro squisitamente corale. Un “Te Deum” un po’ monocorde, quindi, ma ciò nulla toglie al fascino bruckneriano, magnificamente rivisitato dal Palatina Klassik-Vokalensemble, la Philharmonischer Chor An Der Saar e il Coro e Orchestra del Conservatorio Statale di Kazan diretti da Leo Kraemer. Susanne Bernhard, soprano, Susanne Schaeffer, contralto, Oscar de la Torre, tenore, Vinzenz Haab, baritono.

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