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Il prezioso calligramma di Palazzo Barberini

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                                    Il prezioso calligramma di Palazzo Barberini

di Antonio Mazza

  E raro, anche, ma forse non per il periodo, l’epoca barocca, “tempus mirabilis”, il tempo della ricerca dove spesso l’iperbole ne è il fine ultimo. E il XVII secolo come cuore pulsante di una continua e quasi febbrile sperimentazione, soprattutto a Roma, dove l’eccezionalità è nell’arte, nella scienza ed ogni cosa sembra convergere a creare stupore. Da Borromini e le sue vertigini architettoniche all’intrigante “microscopion” galileiano, dagli studi scientifici dell’Accademia dei Lincei alla “wunderkammer” del gesuita Athanasius Kircher, ed è un continuo spingersi oltre, per suscitare quella”maraviglia” tipica appunto dell’èra barocca. Ed è in tale clima che fiorisce il gusto (e in parte la moda) del calligramma, parola che deriva dalla fusione di due termini tronchi, calli(grafia) e (ideo)gramma, che poi si combinano in una sorta di disegno costruito con le parole ovvero, per dirla con la Treccani, “estrosa disposizione tipografica delle parole di un testo”.

  Un magnifico esempio è in mostra a Palazzo Barberini, nell’àmbito della mostra dedicata a papa Urbano VIII, una “Madonna con Bambino” di autore anonimo, data 1642, realizzata con matita, inchiostro e polvere d’oro su pergamena (riprende un dipinto da Pietro da Cortona, “Madonna col Bambino e Santa Martina”). La singolarità (ed unicità) dell’opera è nel suo “corpus” di lettere microscopiche sparse sulla superficie a comporre parte dell’ “Officium Beatae Mariae Virginis”, approvato dal papa nel 1631 (e quindi un omaggio alla sua persona). Le lettere scorrono sulle figure della Vergine e il piccolo Gesù e le inglobano, con effetti molto particolari, ottenuti grazie al “mycroscopion” da poco inventato. E così ora, ogni dettaglio viene riletto e interpretato con lo stesso strumento ottico, ovviamente molto più preciso, (un microscopio digitale) e proiettato su uno schermo. Il risultato è di indubbio fascino, perché il visitatore si trova innanzi ad una situazione inedita e, per questo, molto intrigante. L’autore, come già detto, è anonimo, non del tutto però, figurando in calce parte della sua firma: “Ignatius Moli (e qui non si legge il resto) scripsit anno 1642 mensis octobris”.

  Dunque una rarità per l’epoca ma non in sé, il calligramma essendo presente anche ai nostri giorni, vedi Apollinaire (“Calligrammes”, 1918), i Futuristi e fino alle italiche avanguardie anni ’60-’70. E come non pensare alle culture araba ed ebraica dove la componente religiosa aniconica, cioè il divieto di riprodurre la figura umana quale specchio della divina, determina un forte sviluppo sul lato della scrittura (anche in modi molto raffinati, vedi i calligrafi arabi). Insomma qualcosa di davvero speciale, ricercato e se vogliamo anche, in taluni casi, un po’ accademico e tuttavia un’espressione culturale e come tale va da considerata.

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L’opera è visibile all’interno della mostra “La Città del Sole: arte barocca e pensiero scientifico”, in programma a Palazzo Barberini fino all’11 febbraio.

La presentazione dell’opera è stata introdotta da Filippo Camerota, Direttore Scientifico del Museo Galileo e curatore della mostra e da Michele Di Monte, Funzionario Storico dell’Arte presso le Gallerie Nazionali, alla presenza di Francesco Gilioli, Capo di Gabinetto del Ministero della Cultura e di Thomas C. Salomon, nuovo Direttore delle Gallerie Nazionali.

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