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Musica per Papa Francesco

Davvero una scoperta “Mysterium”, oratorio di Nino Rota per soli, coro, coro di voci bianche e orchestra eseguito in Santa Maria sopra Minerva. Fu commissionato all’autore nel 1962 dalla Pro Civitate Christiana di Assisi nello spirito del Vaticano II ma ha poco o nulla di celebrativo, in quanto Rota, da credente, lo visse come un momento di crescita della Chiesa. Come base narrativa testi biblici, citazioni evangeliche e, soprattutto, l’Apocalisse di Giovanni, restituita nel suo senso originario di “rivelazione”. Il Mistero, appunto (introdotto dall’ouverture del “Lohengrin” di Wagner, uno

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  “In principio erat Verbum”, l’alba della vita riassunta ed espressa in un drammatico crescendo sinfonico-corale, al quale gli interventi solisti dànno poi una precisa direzione. Ed è quella del cammino iniziatico, impostato quasi in blocchi narrativi, dove voci e melodia creano un contrasto ascensionale, per così dire. La fertile vena compositiva di Rota tende infatti ai toni alti (ma mai gridati), anche quando il versetto diventa preghiera sussurrata. “Ubi caritas et amor”, il centro di tutto, ed un senso di sincera religiosità scandisce i vari momenti dell’oratorio sino all’invocazione finale, che suggella il percorso di fede. Nel giusto tono di luce-ombra l’esecuzione dell’Orchestra e Coro del Teatro San Carlo di Napoli diretti da Giuseppe Grazioli, che del “Mysterium” ha messo in risalto l’arioso (e grandioso) impianto scenografico (in questo si avverte l’uomo di cinema). Ma devo citare tutti, magnificamente impegnati in un’opera di notevole valore sul piano estetico non meno che su quello ideale (e Rota non era nuovo ad “avventure” del genere, vedi la sua biografia). Gianluca Buratto, basso, Rocio Ignacio, soprano, Marianna Pizzolato, mezzosoprano, Alessandro Liberatore, tenore, Salvatore Caputo, Maestro del Coro, Stefania Rinaldi, Maestro del Coro di Voci Bianche.

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  Cosa si può dire di non già detto dei Wiener Philarmoniker? Molto difficile, questi ormai abituali e graditissimi ospiti del Festival sono oltre la fama e ne fa fede la gran massa di pubblico accorsa alla Basilica di San Paolo per l’esecuzione del “Requiem” di Mozart. Una pietra miliare della musica sacra ma anche documento umano, pur non finito (ci penserà il suo allievo prediletto): il testamento spirituale di un grande musicista. Denso e struggente, come traspare dal registro usato dai Wiener, sia strumentale che vocale (i Wiener Singverein). I tempi liturgici della Messa scandiscono i momenti del dolore, ormai oltre la dimensione mortale, come il “Dies irae”, l’ultimo giudizio. Ad una solennità senza tempo (“Tuba mirum”) fa riscontro l’invocazione alla misericordia divina (“Recordare”) e tutto s’impregna di dolcezza (“Benedictus”) preparando l’anima al passaggio finale (il travolgente fugato dell’ “Agnus Dei”). Impeccabile l’esecuzione dei Wiener diretti da Leopold Hager. Ruth Ziesak soprano, Michaela Selinger mezzosoprano, Steve Davislim tenore, Mika Kares basso. Scrive Stendhal nella sua “Vita di Mozart”: “E’ morto all’età di appena trentasei anni; ma in quei pochi anni si è fatto un nome che non perirà fintantoché esisteranno anime sensibili”. Come non essere d’accordo?

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