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La pittura “ecologica” di Arcimboldo

12_Arcimboldo  Già dalla prima occhiata ti rendi conto che quell’autoritratto ha qualcosa di particolare. Sì, esce decisamente dagli schemi della pittura del ‘500 italiano, che vuole la figura e soprattutto il viso ben modellato e, comunque, realistico, anche se magari  un po’ idealizzato. Qui, invece, si avverte un tocco diverso e infatti, osservando la sfumatura dei capelli e la barba che incornicia un volto asciutto, dall’espressione assorta, si comprende come il titolo, “Autoritratto cartaceo”, sia quanto mai appropriato. Infatti capelli e barba, alcuni elementi anatomici (l’orecchio) e infine il collo del farsetto sono proprio carta, ricci di carta che producono quasi un effetto plastico d’insieme. E questo è Giuseppe Arcimboldo, al culmine della sua fortunata carriera d’artista di corte: un artista eccentrico in un Europa che amava l’eccentrico, come viene ben narrato nella mostra “Arcimboldo”, a Palazzo Barberini.

  Giuseppe nasce nel 1526 a Milano e sin da ragazzo inizia a lavorare con il padre Biagio, stimato pittore. Alcune vetrate del duomo di Milano, un affresco nel duomo di Monza insieme a Giuseppe Meda e un arazzo con la “Dormitio Virginis” realizzato per il duomo di Como, gli conferiscono una certa notorietà per la buona fattura delle opere (in mostra vetrate ed arazzo). E’ ormai conosciuto e viene invitato alla corte degli Asburgo ricevendo incarichi da Ferdinando I e divenendo così “pittore di sua maestà reale”. E qui inizia, dopo una serie di felici raffigurazioni nobiliari (imperatori, duchesse, con, nei ritratti femminili, quasi un tocco alla Bronzino: vedi “L’arciduchessa Anna”), il periodo pittorico che l’ha reso famoso, dove attinge al mondo della natura trasfigurandolo con la sua vena visionaria. Ma, in verità, è un percorso già iniziato da tempo.

  Perché da tempo è maturato un diverso clima culturale in Europa, dove il Rinascimento italiano non ha solo inciso profondamente nel campo dell’arte. L’uomo è ormai al centro dell’universo e la sua ricerca muove in ogni direzione, a cominciare dalle scienze naturali che, con l’importazione dal Nuovo Mondo di essenze prima sconosciute, ha subìto un forte impulso. E poi, naturalmente, l’alchimia, un retaggio medioevale che si perfeziona con la figura di Paracelso e, quale comun denominatore al tutto, come una febbre di vivere ben simboleggiata dall’effimero barocco. Di cui Arcimboldo ne sarà anche artefice, curando feste e tornei alla corte imperiale.

  Il Ciclo delle Stagioni e i Quattro Elementi, ovvero le celebri “teste composte”, la fisionomia quale risultante di un assemblaggio ortofrutticolo, per così dire. Vedi “L’Estate”, covoni di grano come tunica ed il viso una colorita sedimentazione di frutta dove ciliegie, susine, meloni, pesche, una pannocchia ed altro (non è frutta rigorosamente di stagione) si combinano con effetti deliziosamente grotteschi. O più poetici come in “La Primavera”, di sapore vivaldiano, tutta sfumata nel suo dispiegarsi floreale, rose, margherite, campanule, fiorellini di campagna. Invece “L’autunno”, con quella sagoma che emerge da un tino e i tralci di vite all’intorno, dà proprio l’idea di un vecchio ubriacone: di un Sileno vegetale. Ma anche nella serie degli Elementi non viene meno il gusto del “far maraviglia”, ad esempio “L’Aria”, come un frullìo d’ali e di piume, dacché appare costruita con galline, colombe, un pavone, ed anche “La Terra”, un’incrostazione di animali misti, selvaggi e non, palchi di corna di cervo come capelli. E, ne risulta una vera e propria festa cromatica, che muove al sorriso il visitatore, anche se “Il Fuoco”, con quel che di meccanico, crea un po’ d’inquietudine.

  Forse perché racchiude in sé il compendio dello spirito dell’epoca, ancora permeata dagli studi leonardeschi (come appunto quello sull’automa). Di certo partecipa a quella visione quasi cosmica che esprime la “wunderkammer”, la camera delle meraviglie (e in mostra ve ne sono esempi), il collezionismo onnivoro ed eclettico che aveva in Massimiliano e Rodolfo d’Asburgo due grandi esponenti (anticipando quello che sarà poi, a Roma, il museo kircheriano). Studi naturalistici (il celebre Ulisse Aldrovandi), ricerca dello “strano” anche in natura (vedi i quadri sulla famiglia Gonzales, i cui membri erano affetti da un raro morbo) e estrosità personale si miscelano argutamente in Arcimboldo che, alle sue già squisite stramberie, ne aggiunge altre, non meno godibili. E sono le “teste composte”, cioè guardi in un modo ed appare la composizione vegetale, capovolgi e ne esce una fisionomia stralunata (“L’ortolano”, “il Cuoco”). Qualcosa che sarà poi ripreso più tardi da Meyer e Hollar con i paesaggi antropomorfi.06_Arcimboldo

  Grande questo Arcimboldo, ignorato per secoli dopo la morte e poi riscoperto dai surrealisti, André Breton in particolare (Oskar Kokoschka lo definì il “patriarca del surrealismo”), ma che di certo non ha lasciato indifferenti i nostri futuristi. Un pittore che quasi gioca, anzi no, gioca proprio di fantasia, stravolgendo ogni cosa con però una bonomia di fondo. Se vuole sa anche essere cattivello, come in “Il giurista”, caricatura dell’uomo di legge che qui appare proprio come un leguleio, di quella razza che abbondava (e abbonda) presso i tribunali di tutto il mondo. Ma Arcimboldo è sempre stato un uomo del suo tempo, sicuro nei destini di progresso del genere umano, come traspare da “L’inverno”, un tronco bitorzoluto ed un’espressione un po’ ottusa ma un fascio d’edera per capelli: il sempreverde, qualsiasi cosa accada.

 “Arcimboldo”, a Palazzo Barberini, mostra organizzata dalle Gallerie Nazionali di Arte Antica e da Mondo Mostre Skira, a cura di Sylvia Ferino-Pagden, fino all’11 febbraio 2018. Da martedì a domenica h.9-19, biglietto euro 15 (valido 10 gg.per Barberini e Corsini), ridotto 12.

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